Ma noi possiamo cercare una spiegazione più benevola e articolata, che riporterebbe anche Marx ed Engels, e le teorie del comunismo “scientifico” sulle classi e sul conflitto di classe, nell’alveo di quella ideologizzazione del tema che abbiamo visto operante in tutti coloro che, prima di essi, si erano cimentati in tali analisi. E lo facciamo partendo da quello che per centinaia di milioni di persone, dal 1848 in poi, è stato il testo politico principale del comunismo “scientifico”, il Manifesto del Partito Comunista, riprendendo da lì alcune delle principali argomentazioni di Marx ed Engels sulle cosiddette «grandi classi della società capitalistica giunta a maturità», che – rispetto alle tre indicate nella paginetta del Terzo Libro del Capitale – nel Manifesto e in buona parte della produzione politica marxiana successiva vengono in realtà ridotte a due, gli operai/proletari e i borghesi/capitalisti.

«Con lo sviluppo dell’industria il proletariato non cresce soltanto di numero; esso si addensa in grandi masse, la sua forza va crescendo, e con la forza la coscienza di essa. Gli interessi, le condizioni di esistenza all’interno del proletariato si livellano sempre di più, perché la macchina cancella sempre più le differenze del lavoro e quasi dappertutto riduce il salario ad un eguale basso livello. La crescente concorrenza dei borghesi tra di loro e le crisi commerciali che ne derivano rendono sempre più oscillante il salario degli operai; l’incessante e sempre più rapido perfezionamento delle macchine rende sempre più precarie le loro condizioni di esistenza; i conflitti tra singoli operai e borghesi singoli vanno sempre più assumendo il carattere di conflitti tra due classi»21.

Dunque, malgrado quanto scritto da Engels nel brano citato in precedenza di Rivoluzione e controrivoluzione in Germania, nel testo-principe della divulgazione politica marxista le classi che contano veramente sono due, borghesia e classe operaia, proletariato e capitalisti. Come persino più nettamente risulta da questi altri passaggi dello stesso Manifesto:

«L’epoca nostra, l’epoca della borghesia, si distingue perché ha semplificato i contrasti tra le classi. La società intera si va sempre più scindendo in due grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente opposte l’una all’altra: borghesia e proletariato…La borghesia ha spogliato della loro aureola tutte quelle attività che per l’innanzi erano considerate degne di venerazione e di rispetto. Ha trasformato il medico, il giurista, il prete, il poeta, lo scienziato in suoi operai salariati… Quelli che furono sinora i piccoli ceti medi, i piccoli industriali, i negozianti e la gente che vive di piccola rendita, gli artigiani e gli agricoltori, tutte queste classi sprofondano nel proletariato…Così il proletariato si recluta in tutte le classi della popolazione»22.

Dall’inizio alla fine della loro vastissima produzione teorica e del loro variegato agire militante, questa rimane per Marx ed Engels – pur con altre contraddizioni che tra poco vedremo – la tesi di fondo ideologica e la linea-guida dell’attività politica nel movimento operaio e comunista “scientifico” da essi fortemente influenzato: l’analisi delle classi si riduce alla ripetizione, quasi ossessiva, del fatto che di classi vere e proprie nella seconda parte dell’Ottocento, o comunque nell’immediato futuro, ne sarebbero rimaste solo due, operai e borghesi, proletari e capitalisti, le due classi destinate allo scontro finale, con l’immancabile vittoria dei proletari. Certo, qua e là vengono menzionati i piccoli contadini, la “piccola borghesia” e, dall’altra parte, i latifondisti: ma sono settori sociali descritti come comparse, per giunta quasi in via di estinzione, nello scontro titanico tra le due classi protagoniste.
Per quel che riguarda la marea di settori e strati sociali, che vanno anche oltre l’elenco marxiano delle parti “intermedie” della popolazione – «i piccoli ceti medi, i piccoli industriali, i negozianti e la gente che vive di piccola rendita, gli artigiani e gli agricoltori» che nel succitato brano del Manifesto Marx definisce classi, dunque non riuscendo in quel caso ad evitare una distinzione tra di esse, quasi sempre invece accomunate in un unico calderone – essi sarebbero semplicemente destinati a sparire in un lasso di tempo che Marx sembra considerare piuttosto breve, e a dissolversi in una delle due “grandi” classi: più precisamente, «tutte queste classi sprofondano nel proletariato». E analoga sorte sembrerebbe dover toccare ai proprietari fondiari, omessi spessissimo nella definizione delle “vere” classi nel conflitto sociale dell’epoca capitalistica, e il cui destino, appunto, sarebbe stato o quello di scomparire del tutto a causa della trasformazione della proprietà fondiaria privata in proprietà statale, o di essere assorbiti come classe in quella, ben altrimenti determinante, dei capitalisti industriali e della manifattura. Come è detto chiaramente in questo brano tratto dalla Storia delle teorie economiche, nella parte dedicata a Ricardo23: