Le classi e i ceti in Weber, Schumpeter e nella sociologia “borghese”: l’esaltazione dei capitalisti privati e l’avversione verso la burocrazia e il capitalismo di Stato.

Di certo non mi pare proprio che la nostra ricerca possa trovare una soluzione più adeguata rivolgendoci ai sociologi o agli economisti non-marxisti del Novecento, a partire dal loro più autorevole esponente (o generalmente considerato tale), quel Max Weber56 che, in opposizione alla lettura di Marx ed Engels delle classi e dei conflitti di classe, ribaltò il rapporto marxiano tra struttura (rapporti di produzione, ruolo e influenza dell’economia, del lavoro, dell’industria, dell’agricoltura ecc.) e sovrastruttura (politica, cultura, religione, ideologie, credenze, tradizioni etniche ecc.) per ciò che riguarda la formazione delle classi e dei ceti e i conflitti tra di essi, ridimensionando vistosamente, rispetto al marxismo, il ruolo dei rapporti di produzione e della collocazione degli individui in tali rapporti e nei processi produttivi.
Secondo Weber – e ancor più nettamente nei suoi epigoni, quei settori della sociologia “borghese” novecentesca ancor più ideologizzati e ostili alle teorie socialiste e comuniste, e neanche disposti, a differenza di Weber, ad apprezzare almeno una parte del lavoro teorico marxiano – le basi fondamentali di quella che chiamò stratificazione sociale57, e le conseguenti differenze e diseguaglianze tra classi e ceti, non risiedono solo nella sfera economica e produttiva, e dunque primariamente nei rapporti di produzione come per Marx, ma ricavano anche più forza dalle relazioni culturali e politiche. Se sulla base delle contraddizioni e conflitti economici si formano le classi sociali, i fattori culturali determinano i raggruppamenti in ceti (con comuni interessi e ideali, religiosi e di modalità di vita), mentre in base ai rapporti politici e di potenza si costituiscono i partiti e i gruppi di potere o di dominio: solo con questi criteri molteplici, secondo Weber, si possono comprendere le stratificazioni e i conflitti sociali.
Ancor più che alle classi sociali, Weber dà importanza ai ceti, gruppi sociali costituiti da persone con simili stili di vita, basi e interessi culturali, ruoli professionali, livelli di istruzione e di conoscenza, e in particolare simili condizioni di prestigio sociale, concetto fondamentale posto allo stesso livello della ricchezza e del potere per determinare la collocazione sociale e la forza contrattuale degli individui, non essendo tale prestigio determinato solo dal denaro posseduto o dal potere esercitato, ma esprimendosi talvolta persino in antitesi ad essi (esempi attuali: un capomafia è in genere più ricco e potente rispetto ad un grande direttore d’orchestra ma quest’ultimo ha ben più prestigio sociale; o un celebre chirurgo può essere più prestigioso di un ministro chiacchierato per disinvoltura e corruzione, anche se quest’ultimo generalmente ha molto più potere).
La compattezza del ceto è per Weber in genere decisamente superiore a quella della classe sociale, anche a causa di fattori psicologici, come il grado di identificazione con il gruppo e il reciproco riconoscimento. Però questa attenzione multipla ad un largo insieme di fattori strutturali e sovrastrutturali, collettivi e individuali, materiali e psicologici, non cancella – anche se ridimensiona parecchio rispetto alla teoria marxiana – il ruolo della struttura economica che resta anch’essa alla base delle stratificazioni sociali: e neanche i ceti ne sono indipendenti, malgrado per la loro determinazione abbiano almeno rilievo eguale – o maggiore, come traspare ad esempio da quel testo weberiano, dalle ambizioni enciclopediche, che è Economia e società58 – l’insieme di idee, abitudini, tradizioni, stili di vita, partecipazione alla divisione della ricchezza e del potere.
In molti passi di Economia e società e delle altre opere principali di Weber, sono i rapporti di potere, o di potenza, a prendere il sopravvento sui rapporti economici nella formazione e definizione delle classi: rapporti che hanno il loro fulcro nelle istituzioni, nelle organizzazioni e nelle associazioni, principalmente in quelle a carattere autoritario. E su questa strada Weber analizzò in modo accurato la funzione crescente della burocrazia, portando a logiche conseguenze quanto Marx ed Engels, in un brano del Capitale e nell’Antiduhring, avevano anticipato – senza però trarne significative conseguenze nell’impostazione politica generale – sul progressivo ridimensionamento della figura del capitalista privato e del padrone individuale, soppiantati nella gestione del Capitale dalla borghesia di Stato, che di fatto anche Weber tratta da classe vera e propria, pur mantenendo per essa la terminologia di burocrazia. Weber considerava quest’ultima una minaccia alla democrazia e alla libertà delle società liberali, al punto da fargli identificare la società socialista con la massima espressione del dominio della burocrazia e della soppressione delle libertà democratiche, minacciate però in generale, anche al di fuori del “socialismo reale”, da «un futuro che appartiene alla burocratizzazione», ove «se il capitalismo venisse eliminato, la burocrazia statale dominerebbe da sola» creando una società che avrebbe cancellato l’iniziativa dei singoli cittadini. Procedendo sulla stessa strada, qualche tempo dopo sarebbe arrivato ancora oltre Schumpeter59, dando il processo di burocratizzazione – che io definirei di egemonia della borghesia di Stato e dei funzionari del Capitale – come oramai dominante non solo nel “socialismo reale” ma anche nel capitalismo occidentale: