e il Marx del 1865 che al Consiglio generale dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori (la Prima Internazionale), per demolire le tesi sugli effetti degli aumenti salariali sostenute da uno dei membri, John Weston, sviluppò un’ampia trattazione/documento in cui tra l’altro affermava che:

«La richiesta dell’eguaglianza dei salari è basata su un errore, su un desiderio vano che non verrà mai appagato. Esso scaturisce da quel radicalismo falso e superficiale che accetta le premesse ma tenta di evitare le conclusioni. Sulla base del sistema del salario,il valore della forza-lavoro viene fissato come quello di qualunque altra merce. E poiché diverse specie di forza-lavoro hanno un diverso valore, cioè richiedono diverse quantità di lavoro per la loro produzione, esse debbono avere un prezzo diverso sul mercato del lavoro. Richiedere sulla base del sistema salariale una paga uguale o anche soltanto equa è lo stesso che chiedere la libertà sulla base del sistema schiavistico»34.

Così come sembrano autori completamente diversi, e in opposizione tra loro, i Marx ed Engels che nel 1848 descrivevano il proletariato (soprattutto inglese, che all’epoca consideravano l’avanguardia della possibile rivoluzione anticapitalistica mondiale) come un corpo unico, rivoluzionario e immune da ogni forma di nazionalismo e sciovinismo e dalla subordinazione alla morale borghese corrente, ai rapporti familiari, alle leggi borghesi, alla religione:

«Di tutte le classi che stanno oggi di fronte alla borghesia, solo il proletariato è una classe veramente rivoluzionaria. Le altre classi decadono e periscono con la grande industria, mentre il proletariato ne è il prodotto più genuino…Il proletario è senza proprietà; le sue relazioni con la moglie e con i figli non hanno più nulla in comune con i rapporti familiari borghesi; il moderno lavoro industriale, il moderno soggiogamento al capitale, lo ha spogliato di ogni carattere nazionale. Le leggi, la morale, la religione, sono per lui altrettanti pregiudizi borghesi»35
e i Marx ed Engels che, qualche decennio dopo, mutavano completamente posizione non solo sulla funzione “progressista e rivoluzionaria” della borghesia capitalista e del suo colonialismo in giro per il mondo – quella presunta funzione che li aveva portati ad ironizzare sull’”oscurantismo” e sulla “barbarie” contadina e di alcuni popoli asiatici o sulla “pigrizia” messicana, e ad evitare di spendersi significativamente per la lotta di liberazione nazionale degli irlandesi dal dominio coloniale inglese – ma pure nei giudizi sulla classe operaia inglese, anche in seguito ad un accurato studio del dominio inglese sull’Irlanda e dei suoi effetti in Inghilterra. Ecco alcuni brani rilevanti in tal senso, tratti rispettivamente da una lettera di Marx ad Engels del dicembre 1869, una a Paul e Laura Lafargue del marzo 1870, una a Kugelmann del novembre 1869, e da un brano delle “Comunicazioni confidenziali al Consiglio Generale dell’Internazionale del gennaio 1870”:
«Per lungo tempo ho creduto che fosse possibile rovesciare il regime irlandese mediante l’ascendente della classe operaia inglese. Uno studio più approfondito mi ha convinto ora del contrario. La classe operaia inglese non farà mai nulla prima che sia riuscita a disfarsi del problema irlandese. Dall’Irlanda si deve far leva. Per questo motivo la questione irlandese è così importante per il movimento sociale in generale»36.
«Per accelerare lo sviluppo sociale d’Europa è necessario accelerare la catastrofe dell’Inghilterra ufficiale. A questo scopo bisogna colpire in Irlanda. E’ questo il suo punto più debole. Se l’Irlanda va perduta, l’Impero britannico è finito, e la lotta di classe in Inghilterra, fino ad oggi sonnacchiosa e lenta, assumerà forme violente»37.
«Io mi sono vieppiù convinto, e si tratta ora di inculcare questa convinzione nella classe operaia inglese, che qui in Inghilterra essa non potrà mai fare qualcosa di decisivo, fintanto che non separerà la sua politica nei confronti dell’Irlanda dalla politica delle classi dominanti, fino a quando non solo farà causa comune con gli irlandesi, ma prenderà l’iniziativa per lo scioglimento dell’Unione fondata nel 1801 e per la sua sostituzione con un libero rapporto federale»38.
«La borghesia inglese non ha soltanto sfruttato la miseria irlandese per comprimere con l’emigrazione forzata degli irlandesi poveri le condizioni della classe operaia in Inghilterra, ma ha inoltre diviso il proletariato in due campi nemici. L’ardore rivoluzionario dell’operaio celtico non si è fuso con il temperamento vigoroso ma lento dell’anglosassone. Vi è al contrario in tutti i grandi centri industriali dell’Inghilterra un profondo antagonismo tra il proletariato irlandese e quello inglese. Il comune operaio inglese odia quello irlandese come un concorrente che comprime i salari e il livello di vita. Egli prova per lui antipatie nazionali e religiose, lo considera su per giù come i bianchi poveri degli Stati Uniti del Sud considerano gli schiavi negri»39.