Quindi, credo che questi gruppi di persone – sia nei paesi “socialisti” tramite il Partito sia in quelli a capitalismo misto (capitale privato intrecciato con capitale di Stato) tramite le Società per azioni, i Consigli di amministrazione (molto simili ai Politburo “socialisti”), i partiti parlamentari e il funzionariato di Stato – possano essere denominati a buon diritto classe proprietaria, borghesia di Stato. In particolare, per quel che riguarda i paesi “socialisti”, tale classe poteva e può appropriarsi, senza effettivi ostacoli a causa del mono-partitismo e mono-sindacalismo, di una parte considerevole del prodotto dei salariati, per destinarlo al proprio consumo, al miglioramento delle proprie condizioni e alla perpetuazione e rafforzamento del capitale di Stato, fonte concreta del proprio potere. Se accettiamo una tale estensione del concetto di classe, viene meno l’impalcatura delle correnti dominanti del marxismo e comunismo novecentesco che hanno sempre considerato le strutture statuali e le istituzioni governative e parlamentari solo come «materializzazione e condensazione dei rapporti di classe..(poiché) gli apparati di Stato non posseggono un potere proprio ma materializzano e concentrano i rapporti di classe; lo Stato non è una entità dall’essenza strumentale intrinseca, ma lui stesso un rapporto, la condensazione di un rapporto di classe»66.
Al contrario, lo sviluppo capitalistico dimostra la verità dell’intuizione di Engels espressa nell’Antiduhring: “Se il modo di produzione capitalistico ha cominciato con il soppiantare gli operai, oggi esso soppianta i capitalisti e li relega tra la popolazione superflua…Ma né la trasformazione in società anonime, né in proprietà statale, sopprime il carattere di capitale delle forze produttive. Lo Stato moderno è una macchina essenzialmente capitalistica, il capitalista collettivo ideale. Quanto più si appropria le forze produttive, tanto più diventa un capitalista collettivo, tanto maggiore è il numero di cittadini che esso sfrutta. Il rapporto capitalistico non viene soppresso, viene invece spinto al suo apice”67 , nonché delle successive previsioni di Weber e di Schumpeter sulla sostituibilità del capitalista individuale da parte di grandi apparati aziendali, statali, partitici e burocratici che svolgono il ruolo di capitalisti collettivi, gestendo il sistema economico e politico in nome non tanto degli interessi dei singoli individui o famiglie del tradizionale capitalismo privato ma in funzione soprattutto degli obiettivi generali di difesa e accrescimento del capitale “collettivo” della grande impresa o della struttura statale, sovente intrecciati.
Nello stesso tempo, la distinzione tra i capitalisti individuali/familiari (coloro che hanno la proprietà giuridica, come singoli o famiglie, di capitale e mezzi di produzione) e i capitalisti collettivi (o cooperativi) che li gestiscono e li posseggono di fatto – in quanto consiglieri di amministrazione, membri dei vari comitati di affari delle Società per azioni, politici o funzionari statali, aventi il potere di prendere ogni decisione in merito all’utilizzo del capitale aziendale o di Stato e alla distribuzione dei profitti, in primo luogo verso se stessi e il proprio entourage – richiede di non trascurare le persistenti differenze all’interno delle varie classi e nella loro articolazione in ceti distinti. Sia tra chi si appropria del prodotto dal lavoro altrui, sia tra chi deve vendere la propria forza-lavoro come unica possibilità di vita, vanno fatte distinzioni tra ceti che, pur accomunati da elementi fondanti e radicati, hanno però diverse modalità di inserimento in questa o quella classe: come nel caso fin qui analizzato di individui che fanno tutti parte della classe proprietaria, ma per i quali è pur necessaria, ad esempio, una distinzione tra il ceto dei proprietari individuali dei mezzi di produzione, gli azionisti che ne sono co-proprietari, gli amministratori delle grandi aziende, i funzionari del capitale statale.
E restando sempre all’interno della classe proprietaria, un’ulteriore distinzione va fatta tra coloro che ricavano l’accrescimento del capitale, sia in forma individuale sia in forma collettiva o cooperativistica, da una concreta attività produttiva (ciò che classicamente viene definito capitale industriale o produttivo) e il capitalismo finanziario di coloro che fanno denaro con il denaro, cioè ricavano il profitto dal puro investimento in azioni, titoli di Stato e di imprese, valori virtuali di merci e di beni primari, traffici di moneta, e che negli ultimi anni sono stati descritti da molti, erroneamente, come i dominatori del moderno capitalismo. Seppure i ruoli e le funzioni di questi due differenti ceti capitalisti si siano sempre più intrecciati, resta pur tuttavia una differenza tra queste due frazioni della classe proprietaria; e lo stesso vale per i proprietari fondiari, coloro che ricavano profitto dall’uso diretto o indiretto della proprietà della terra e della natura animata che su di essa vive, ceto capitalistico di cui, sbagliando, Marx aveva pronosticato la sparizione.