Tra questi ceti – frazioni diverse all’interno di una classe che ha un elemento unitario, e cioè la proprietà giuridica e/o il possesso effettivo (nel senso fin qui detto) di significative quote di capitale e/o di mezzi di produzione di una qualche entità e rilievo – ci sono in genere sia unità di intenti sia contrasti e conflitti. Nei momenti particolarmente delicati, quando l’intero sistema di produzione capitalistico è minacciato da profonde crisi o quando il conflitto con altre classi e ceti diviene particolarmente acuto, l’elemento unitario tende a prevalere e le differenze di collocazione di ceto si attenuano. Ad esempio nel corso della crisi esplosa nel 2008 soprattutto in seno al capitalismo occidentale, sull’asse Usa-Europa, le strutture della borghesia di Stato e i funzionari del capitale nazionale dei più potenti paesi di tale area sono intervenute massicciamente, come mai in precedenza, per evitare il tracollo delle principali banche e apparati finanziari privati o semi-pubblici, nonché della grande industria a capitale privato, mettendo da parte anche le divisioni e contrapposizioni nazionali o quelle provocate dal dilagare della finanza “selvaggia” a danno delle stesse strutture industriali e produttive. E così pure è accaduto in precedenza, laddove le classi subalterne e salariate hanno seriamente messo in dubbio, almeno per qualche periodo, il potere e il dominio dei possessori dei mezzi di produzione e del grande capitale.
Solo in tal senso si può interpretare, ma con una vistosa correzione, la considerazione secondo la quale «le classi sociali non esistono che nella lotta delle classi, in una dimensione storica e dinamica. La costituzione, la delimitazione delle classi, delle frazioni, degli strati, delle categorie, non può essere fatta se non prendendo in considerazione questa prospettiva storica della lotta delle classi»68. E’ corretto sottolineare come, in genere, nelle fasi di acuto conflitto o di crisi rilevanti del sistema è molto più probabile che gli elementi di unità all’interno delle classi prevalgano ed esse si mostrino come un corpo relativamente compatto e assai visibile. Ma è sbagliato ritenere che nelle fasi “normali”, per così dire, esse svaniscano: piuttosto in tali fasi emergono più nettamente i conflitti interni, tra le varie borghesie di Stato e tra i capitalismi nazionali emergenti e quelli calanti, tra i settori finanziari e quelli direttamente produttivi, tra i gruppi dirigenti delle multinazionali e coloro che gestiscono imprese che operano quasi esclusivamente su mercati nazionali e per il consumo interno, tra la proprietà fondiaria e quella industriale e così via.
Per la verità tali contrasti e conflitti non spariscono del tutto neanche nelle fasi di grande crisi, perché, ad esempio dal 2008 ad oggi, a livello europeo il capitalismo di Stato e privato tedesco, decisamente il più forte in Europa, ha usato il proprio maggior potere per imporre le proprie regole agli altri capitalismi nazionali europei, a partire da quelli del Sud e dell’area mediterranea, cercando di far pagare i costi della crisi in netta prevalenza ai popoli di tali paesi ma anche ai capitalisti, “pubblici” o privati, di queste aree geografiche. Per cui, in ogni fase storica vanno tenuti presenti gli elementi di unitarietà delle varie classi, e tra i ceti che le compongono, ma anche quelli di diversità e contrasto interni, tra frazioni collocate non nelle stesse posizioni e ruoli, e caratterizzate da una mobilità interna ed esterna, condizionata dalle circostanze oggettive dell’economia e della “struttura” come da quelle soggettive della politica e della “sovrastruttura”. E se questa operazione analitica va svolta nei confronti delle classi dominanti, proprietarie o in possesso di mezzi di produzione, facendo all’interno le dovute distinzioni tra i ceti (uso questo termine, come è evidente, nel senso di frazione interna di una classe) altrettanto va fatto per le classi “intermedie” non-proprietarie (di mezzi di produzione e di capitale), o proprietarie in senso marginale e limitato; ed infine per le classi subordinate, salariate, sfruttate, operaie, proletarie. Lavoro che mi riprometto di approfondire, con un saggio specifico, nei prossimi mesi.