L’inconsistenza delle analisi delle classi e dei ceti in Marx ed Engels. Ideologia e determinismo sui conflitti di classe e sulla “dittatura del proletariato” nel marxismo ottocentesco.

Si può dire che con il procedere dello sviluppo capitalistico e l’accumularsi delle varie analisi sulle classi, le definizioni, pur sempre infarcite di ideologismi e di costrizioni nei vari schemi politici, assumono via via una certa veridicità. Ma colpisce il fatto che tutti gli autori citati, e anche quelli qui non considerati, non tentarono mai di precisare quali potessero essere, al di là dei loro schemi aprioristici, i criteri per determinare cosa sia una classe, in che cosa si distingua dai singoli ceti (o come li includa) o dai più generici strati sociali. Si potrebbe pensare che tutti siano partiti dal tacito presupposto che una definizione rigorosa e scientifica del concetto di classe sia impossibile, in quanto si tratti di una categorizzazione comunque strettamente legata ad una visione generale – politica, ideologica e culturale – della società e dunque sia inutile provare a determinare le classi con la stessa precisione e relativa oggettività delle leggi fisiche, chimiche, matematiche, biologiche.
E a me pare che a questa impostazione, e implicita consapevolezza, non sfuggano né Marx ed Engels né il percorso del comunismo “scientifico”. Per quanto possa sembrare paradossale, infatti, malgrado la parola classe compaia nella totalità dei testi marx-engelsiani, non esiste neanche un capitoletto della loro produzione teorica e politica in cui essi abbiano tentato una definizione “scientifica”, o comunque organica, del termine e del suo preciso significato. O meglio: nella sterminata letteratura marxiana esiste una sola, poverissima, paginetta dedicata interamente all’argomento, possibile inizio di una trattazione appena abbozzata, mai sviluppata né tantomeno portata a termine, per ragioni sulle quali si possono fare solo ipotesi. Si tratta di poche righe che costituiscono il cinquantaduesimo capitolo del Terzo Libro del Capitale, almeno così come esso venne raccolto e ordinato da Engels. Il capitolo è appunto intitolato Le classi e credo che valga la pena di riportarlo per intero, separandolo per comodità di esposizione in due parti:

«I proprietari della semplice forza-lavoro (gli operai salariati), i proprietari del capitale (i capitalisti) e i proprietari fondiari, le cui rispettive fonti di reddito sono salario, profitto e rendita fondiaria, costituiscono le grandi classi della società moderna, fondata sul modo di produzione capitalistico. Senza dubbio è in Inghilterra che la società moderna nella sua struttura economica ha raggiunto il suo sviluppo più ampio e più classico. Tuttavia la stratificazione delle classi non appare neppure lì nella sua forma pura. Fasi medie e di transizione cancellano anche qui tutte le linee di demarcazione, nella campagna tuttavia in grado molto minore che nelle città. Ma per la nostra analisi ciò è irrilevante. Abbiamo visto che la tendenza costante e la legge di sviluppo del modo di produzione capitalistico è di separare in grado sempre maggiore i mezzi di produzione dal lavoro e di concentrare progressivamente in larghi gruppi i mezzi di produzione dispersi, trasformando con ciò il lavoro in lavoro salariato ed i mezzi di produzione in capitale. E a questa tendenza corrisponde la separazione autonoma della proprietà fondiaria dal capitale e dal lavoro, o la trasformazione di tutta la proprietà fondiaria nella forma corrispondente al modo di produzione capitalistica»16.

Già questo primo brano appare contraddittorio. Marx parte assai deciso, con un’affermazione apodittica non accompagnata da alcun elemento dimostrativo, cosa strana tenendo conto della sua consueta pignoleria su dati a volte persino irrilevanti: nella società capitalistica sviluppata – poiché effettivamente tale egli considerava l’Inghilterra della seconda parte dell’Ottocento – le tre grandi classi, sostiene Marx, sono i capitalisti, gli operai salariati e i proprietari fondiari; ma, solo poche righe più avanti, deve aggiungere che nella realtà concreta anche in Inghilterra le classi non risultano così chiaramente delineate in quanto «la stratificazione delle classi non appare neppure in Inghilterra nella sua forma pura» (“pura” in base a quale modello ideale? come si decide il grado di “purezza” di una classe?) e addirittura «fasi medie e di transizione cancellano anche qui tutte le linee di demarcazione». Pur tuttavia, conclude Marx, «per la nostra analisi ciò è irrilevante»: affermazione sconcertante in genere, ma addirittura inspiegabile per il fondatore del comunismo “scientifico” che sul rigore dell’analisi sociale ed economica e sulla centralità del concetto di classe e di lotta di classe aveva puntato gran parte delle sue carte teoriche e politiche.
Peraltro non era, neanche per l’Inghilterra dell’epoca, questione di «fasi di transizione che cancellano le linee di demarcazione»: il punto cruciale è che le tre classi individuate da Marx per la società dei suoi tempi coprivano a malapena, pur nel paese-guida del capitalismo, un terzo dell’intera popolazione. E spostandosi dall’Inghilterra – anche senza trasferirsi in tutto il mondo extraeuropeo ove, all’ingrosso, non più del 10% della popolazione poteva essere incluso nelle tre categorie dei capitalisti, degli operai e dei proprietari di latifondi – fosse pure a breve distanza, in quella Germania patria di Marx, di Engels e delle più forti organizzazioni socialiste, sarebbero bastati gli studi di Engels stesso a smontare una tale schematica e idealistica divisione tra le classi: