«La classe dei piccoli commercianti e bottegai è estremamente numerosa in Germania…Nelle città più grandi essa costituisce quasi la maggioranza degli abitanti; nelle città minori essa predomina in modo assoluto, grazie all’assenza di concorrenti più influenti e ricchi. Questa classe, che è molto importante in ogni Stato moderno ed in ogni rivoluzione moderna, è particolarmente importante in Germania, dove nel corso delle lotte recenti ha avuto in generale una parte decisiva. La sua posizione intermedia tra la classe dei capitalisti, commercianti e industriali maggiori, tra la borghesia propriamente detta e la classe dei proletari, determina il suo carattere…questa classe è estremamente vacillante nelle sue opinioni»17.
Tornerò più avanti sulla validità della definizione, del tutto generica, di piccola borghesia attribuita in tanti testi marxiani a questi strati sociali e spesso estesa a tutta la società intermedia tra capitalisti e proletariato (con l’apparizione marginale e in genere dispregiativa della sub-classe “lumpenproletariat”, sottoproletariato o proletariato straccione); così come sul fatto che, avendo la parte vastissima, e abbondantemente maggioritaria almeno in Europa, dei non-capitalisti e non-operai una posizione «intermedia tra la classe dei capitalisti e quella dei proletari», essa sarebbe per questo «estremamente vacillante nelle sue opinioni»: il ché, per Marx ed Engels, comportava evidentemente il dare per scontato la fermezza delle opinioni proletarie. Quel che è certo in questo brano sulla composizione sociale e di classe della Germania dell’epoca è una evidente, seppur involontaria, confutazione della suddetta tesi di Marx: tale classe intermedia, oltre a rappresentare la netta maggioranza della popolazione e ad essere «particolarmente importante in Germania, dove nel corso delle lotte recenti ha avuto in generale una parte decisiva», è in realtà, secondo Engels, «molto importante in ogni Stato moderno ed in ogni rivoluzione moderna».
Stante le suddette contraddizioni, ci si potrebbero aspettare ben più puntuali spiegazioni sulle classi almeno nella seconda parte della pur striminzita paginetta marxiana. Ma sarebbe una attesa vana, perché così si conclude bruscamente e inopinatamente il Terzo Libro del Capitale, e con esso il tentativo di Marx di definire “scientificamente” e organicamente l’intero arco delle classi, la loro stratificazione e le loro differenziazioni, in base a criteri quanto più possibile chiari e verificabili:

«La prima domanda a cui si deve rispondere è la seguente: che cosa costituisce una classe? E la risposta risulterà automaticamente da quella data all’altra domanda: che cosa fa sì che gli operai salariati, i capitalisti e i proprietari fondiari formino le tre grandi classi sociali? A prima vista può sembrare che ciò sia dovuto all’identità dei loro redditi e delle loro fonti di reddito. Sono tre grandi gruppi sociali, i cui componenti vivono rispettivamente di salario, di profitto e di rendita fondiaria, della valorizzazione della loro forza-lavoro, del loro capitale e della loro proprietà fondiaria. Tuttavia, da questo punto di vista, anche i medici e gli impiegati, ad esempio, verrebbero a formare due classi, poiché essi appartengono a due distinti gruppi sociali, e i redditi dei membri di ognuno di questi gruppi affluiscono da una stessa fonte. Lo stesso varrebbe per l’infinito frazionamento di interessi e posizioni, creato dalla divisione sociale del lavoro tra gli operai, i capitalisti e i proprietari fondiari. Questi ultimi, ad esempio, divisi in possessori di vigneti, di terreni arativi, di foreste, di miniere, di riserve da pesca»18.