E in una lettera di commento alle funzioni della Critica nei riguardi dei socialisti tedeschi e del movimento internazionale, inviata ad August Bebel, così Engels rincarava in difesa del ruolo democratico della “piccola borghesia”:

«Si accetta la frase lassalliana, sonora ma storicamente falsa, che rispetto alla classe operaia tutte le altre classi costituirebbe una sola massa reazionaria. Questa affermazione è vera solo in singoli casi eccezionali…Se per esempio in Germania la piccola borghesia democratica appartenesse a questa massa reazionaria, come avrebbe potuto il Partito socialdemocratico operaio procedere per anni in stretta alleanza con essa, cioè con il Partito popolare49? E come può il Volksstaat50 prendere quasi tutto il suo contenuto politico dalla democratica piccolo-borghese Frankfurter Zeitung51? E come si possono includere in questo stesso programma non meno di sette rivendicazioni che coincidono direttamente e letteralmente con il programma del Partito popolare e della democrazia piccolo-borghese, rivendicazioni di cui non ve ne è una sola che non sia democratico-borghese?»52?

Però, malgrado queste limpide affermazioni – inserite nella polemica con un testo che aveva la presunzione di fare da base programmatica per la trasformazione socialista della Germania – sul possibile ruolo progressista e democratico almeno di una parte rilevante della “piccola borghesia” tedesca (e in generale di una parte dei “ceti medi”), e addirittura sulla stretta dipendenza – o vera e propria subordinazione: il giornale operaio che prende «quasi tutto il suo contenuto politico» dal giornale democratico-borghese – del Partito “operaio” dai suoi programmi, Marx ed Engels nello stesso scritto sbeffeggiavano le rivendicazioni “democratico-borghesi”, che poi in realtà erano per lo più democratiche tout court. E, pur non entrando nei dettagli delle caratteristiche del possibile Stato post-capitalista, ne ribadivano comunque il carattere dittatoriale, seppur proletario, come condizione ineliminabile per la repressione di tutti i possibili avversari (o considerati tali) della classe operaia e del suo Partito: che è poi quanto sarebbe concretamente avvenuto in Russia, con la progressiva distruzione sociale (ed eliminazione fisica delle leadership) di tutte le organizzazioni o correnti politiche, sindacali e culturali non-bolsceviche, prima, e non-staliniste, poi.

«Si domanda quale trasformazione subirà lo Stato in una società comunista? In altri termini, quali funzioni sociali persisteranno ancora, che siano analoghe alle odierne funzioni dello Stato? A questa domanda si può rispondere soltanto scientificamente, e componendo migliaia di volte la parola popolo con la parola Stato non ci si avvicina alla soluzione del problema di una spanna. Tra la società capitalistica e la società comunista vi è il periodo della trasformazione rivoluzionaria dell’una nell’altra. Ad esso corrisponde anche un periodo politico di transizione, il cui Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato. Ma il programma non si occupa né di quest’ultima né del futuro Stato della società comunista. Le rivendicazioni politiche del programma non contengono nient’altro che la litania democratica nota a tutto il mondo: suffragio universale, legislazione diretta, diritto del popolo, milizia popolare ecc. Esse sono una pura eco del Partito popolare borghese»53.

E nella già citata lettera a Bebel così Engels insisteva:

«Non voglio indugiare sul fatto che rivendicazioni come la libertà della scienza e di coscienza figurano in ogni programma liberale borghese e qui appaiono un po’ sconcertanti…Sarebbe ora di farla finita con tutte queste chiacchiere sullo Stato, specialmente dopo la Comune di Parigi, che non era più uno Stato nel senso proprio della parola. Gli anarchici ci hanno rinfacciato fino alla nausea lo Stato popolare, benché già il libro di Marx contro Proudhon e in seguito il Manifesto comunista dicano esplicitamente che con l’instaurazione del regime sociale socialista lo Stato si dissolve da sé e scompare. Non essendo lo Stato altro che un’istituzione temporanea di cui ci si deve servire nella lotta, nella rivoluzione, per schiacciare con la forza i propri nemici, parlare di uno Stato popolare libero è un puro non-senso: finché il proletariato ha ancora bisogno di uno Stato, ne ha bisogno non nell’interesse della libertà, ma per tenere sottomessi i suoi avversari, e quando diventa possibile parlare di libertà, allora lo Stato come tale cessa di esistere»54.