E altrettanto dirompente mi sembra questa annotazione di Engels in una lettera a Kautsky del settembre 1882:
«Mi chiedete cosa pensino gli operai inglesi sulla politica coloniale? Esattamente la stessa cosa che pensano della politica in generale, cioè quello che pensano i borghesi. Qui non esiste un partito operaio; ci sono soltanto dei conservatori e dei radicali liberali, e gli operai usufruiscono tranquillamente con essi del monopolio coloniale dell’Inghilterra e del suo monopolio sul mercato mondiale»40.
Per non parlare poi delle asperrime valutazioni che, a più riprese negli anni ’70 e ’80, Marx ed Engels fecero, anche in sedi ufficiali, rispetto ai sindacati tedeschi ed inglesi e in definitiva a quella classe operaia che doveva essere, ancora nel Programma di Gotha (sul cui rilievo politico e programmatico per il movimento operaio europeo dell’ultima parte dell’Ottocento accennerò più avanti), la parte più avanzata del proletariato, quella più rivoluzionaria che, con la propria insindacabile dittatura, avrebbe liberato se stessa e l’umanità intera dall’oppressione capitalistica. Ad esempio, nel settembre 1872 Engels comunicava in una lettera a Sorge che Hales, membro inglese del Consiglio federale dell’Internazionale, aveva sollevato grande scandalo durante una riunione del Consiglio, pretendendo una nota di biasimo a Marx per avere quest’ultimo affermato che i capi del movimento operaio inglese erano dei venduti. Ecco la citazione precisa:
«Hales ha provocato un grande scandalo qui nel Consiglio federale, facendo votare una censura contro Marx perché aveva affermato che i dirigenti operai inglesi erano venduti. Una sezione inglese e una irlandese, però, hanno già protestato e danno ragione a Marx»41.
E questo è quanto lo stesso Marx scriveva a Sorge nell’agosto 1874:
«Per quanto riguarda gli operai delle città inglesi, non ci resta che dolerci che tutta la banda dei capi non sia capitata in Parlamento. Questa sarebbe la via giusta per liberarsi di tale canaglia»42.
Mentre Engels in una lettera a Marx dell’agosto 1881 rincarava l’accusa ai dirigenti operai dei sindacati inglesi e tedeschi di essersi venduti alla borghesia:
«Questi sindacati tedeschi, paragonabili solo a quelli inglesi, ancora peggiori, che si lasciano guidare da uomini che sono venduti alla borghesia o almeno pagati da essa»43.
Lotta di classe «sonnacchiosa e lenta»; classe operaia che «non potrà mai fare nulla di decisivo», e che “nulla farà” se non si risolverà la questione irlandese; «l’operaio inglese che odia quello irlandese come un concorrente che comprime i salari e il livello di vita, e che prova per lui antipatie nazionali e religiose, e lo considera come i bianchi poveri degli Stati Uniti del Sud considerano gli schiavi negri»; operai inglesi che della questione coloniale pensano la stessa cosa che della politica in generale, «cioè quello che pensano i borghesi», e che mangiano “tranquillamente” la loro parte del monopolio inglese sul mercato mondiale e sulle colonie; i leader degli operai inglesi e tedeschi e dei loro sindacati «venduti, canaglie pagate dalla borghesia»!!! Non è sorprendente sentirlo dire da Marx ed Engels con simile e brutale nettezza? Non è una svolta a 180 gradi quella operata negli ultimi venti anni di vita da Marx rispetto alle visioni idealistiche e trionfalistiche sul ruolo rivoluzionario della classe operaia – descritta come una realtà omogenea e sempre più unificata dallo sviluppo capitalistico, immune da nazionalismi, sciovinismi, razzismi, influssi religiosi – dei primi decenni della propria produzione teorica e politica?
Ma a volte il drastico cambio di giudizi avvenne addirittura a distanza di mesi: ad esempio, a proposito di quel gigantesco calderone sociale, “intermedio” tra capitalisti ed operai, accomunato da Marx ed Engels nella generica definizione collettiva di “piccola borghesia”. Essa, nel Manifesto del 1848, è considerata una forza conservatrice, anzi “reazionaria”.