Volendo mettere in campo un’analisi il più possibile adeguata (ho dubbi ad introdurre l’aggettivo “scientifica”, termine da usare sempre con cautela quando ci si occupa di rapporti sociali ed economici) del concetto di classe, per cercare di definire adeguatamente cosa sia sfruttamento ed espropriazione nelle società classiste e in particolare in quelle capitalistiche del XXI secolo, credo sia utile partire ab ovo, e dunque dall’origine stessa del termine classe e dalle sue prime applicazioni, ad esempio nelle società antenate dell’attuale Occidente, Grecia e Impero romano. Così facendo, emerge un primo eclatante dato: l’etimologia del termine è del tutto incerta – il ché ci deve rendere ancor più cauti sul grado di scientificità garantibile in questa nostra ricerca – perché è possibile risalire fino al latino classis ma non oltre, almeno se si vogliano dati inoppugnabili. Nell’antica Roma il termine classis era usato per definire le cinque categorie di cittadini, divise – nell’ordinamento giuridico istituito, secondo la tradizione, da Servio Tullio(1) – in base al patrimonio mobiliare ed immobiliare di ognuno: le fasce di ricchezza patrimoniale che distinguevano le cinque classi erano rispettivamente di centomila, settantacinquemila, cinquantamila, venticinquemila e undicimila assi(2). Per essere più precisi, si chiamava classis la prima delle categorie, quella più ricca, mentre le altre quattro erano denominate infra classem. Questa appartenenza determinava sia i diritti politici differenziati sia gli obblighi militari.
Un termine analogo, però, era già stato usato nella Grecia del VI secolo da Platone che teorizzò l’esistenza di tre o quattro classi, in base al censo: i governanti (o filosofi), i guerrieri (o guardiani), i produttori, a volte distinti da una quarta classe, gli agricoltori. Successivamente, nel corso della storia universale, il termine è stato usato in varie e diverse accezioni: ma solo negli scritti di Marx ed Engels il concetto di classe assunse una assoluta centralità, e con esso quelli di società di classe, di coscienza di classe e di lotta di classe; mentre successivamente la sociologia novecentesca, da Weber a Dahrendorf, polemizzò vivacemente con il marxismo, sostenendo che, a causa di una continua mobilità sociale, incomparabile con quella che nell’Ottocento si presentava agli occhi dei marxisti, e della mutevolezza del sistema economico, la distinzione tra una classe e l’altra andava sempre più perdendo di senso, rendendo di assai difficile collocazione il concetto stesso, oramai fuori da una precisa “scientificità”. In effetti, se oggi consultiamo un buon vocabolario, non sottoposto a eccessive sudditanze ideologiche e culturali, e ne ricaviamo la definizione del termine classe, possiamo leggere cose di questo genere:

«Nel linguaggio politico-economico, si definisce classe sociale (o classe tout court) ciascuno dei raggruppamenti di individui che, all’interno di una società, manifestano comportamenti unitari e specifici rispetto a quelli di altri raggruppamenti, dai quali si differenziano per una diversa collocazione nei confronti della ricchezza, del potere, del prestigio ecc..: distinzione affermatasi soprattutto dopo la prima grande rivoluzione industriale, in cui, sulla decadenza della società feudale, si crearono nuove diseguaglianze e nuovi raggruppamenti, definiti in base alle dimensioni e alle fonti del reddito»(3).

Come si può notare, si tratta di definizioni piuttosto generiche, come quelle invalse in gran parte della sociologia moderna. Se ne potrebbe ricavare una conclusione politica sulla volontà ideologica delle società classiste di occultare sé stesse, impedendo alla cultura di divulgazione ogni maggiore precisione nella definizione “scientifica” di tale concetto. E dunque ci si potrebbe aspettare sul tema che una sorta di salvezza ideologica, culturale e sociologica ci provenga dallo stesso Marx, considerato urbi et orbi il vero, puntuale e scientifico teorizzatore del concetto di classe, oltreché di quella coscienza e lotta di classe in grado di porre termine a ciò che egli definì la “preistoria dell’umanità” e cioè alle società classiste. Ma in realtà da qui arrivano altre sorprese. E’ piuttosto noto che lo stesso Marx negò di essere lo scopritore non solo dell’esistenza delle classi ma anche della lotta di classe. In una celebre lettera a Weydemayer, scrisse infatti:

«A me non appartiene il merito di aver scoperto né l’esistenza delle classi nella società moderna, né la lotta tra di esse. Già molto prima di me degli storici borghesi avevano scoperto l’anatomia economica delle classi. Quello che io ho fatto di nuovo è stato di dimostrare: 1) che l’esistenza delle classi è soltanto legata a determinate fasi di sviluppo storico della produzione; 2) che la lotta di classe necessariamente conduce alla dittatura del proletariato;3) che questa dittatura costituisce soltanto il passaggio alla soppressione di tutte le classi e a una società senza classi»(4).