Certo, poi nella stessa Critica Marx ribadiva le proprie posizioni (in realtà, speranze), come più volte dichiarate fin dal Manifesto, a proposito di una non meglio definita “fase avanzata del comunismo”, una sorta di Paradiso in terra che avrebbe dovuto realizzarsi dopo un periodo più o meno lungo di repressioni dei nemici del comunismo e di esercizio della dittatura proletaria, una Bengodi senza conflitti o divisioni sociali, controlli o repressioni, scontri di classe o ingiustizie: un regno della libertà assoluta! Tale esaltante società – lo riaffermava anche il Marx della “maturità” – non poteva però che essere il punto di arrivo di un più o meno lungo percorso, guidato in modo ferreo da una dittatura “proletaria” che, strada facendo, «schiaccia con la forza i propri nemici», quelli che insindacabilmente considererà tali, non garantendo dunque ai non-proletari alcuna libertà o diritto che siano “borghesi”, “piccolo-borghesi”, “liberali” o comunque non funzionali alla dittatura stessa.

«In una fase più avanzata della società comunista, dopo che è scomparsa la subordinazione servile degli individui alla divisione del lavoro, e quindi anche il contrasto di lavoro intellettuale e lavoro fisico; dopo che il lavoro non è divenuto soltanto mezzo di vita ma anche il primo bisogno della vita; dopo che con lo sviluppo onnilaterale degli individui sono cresciute anche le loro forze produttive e tutte le sorgenti della ricchezza sociale scorrono in tutta la loro pienezza – solo allora l’angusto orizzonte giuridico borghese può essere superato, e la società può scrivere sulle sue bandiere: “Ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”»55.

Appare ben singolare che in un programma politico di un Partito che si considerava “operaio”, malgrado fosse nei fatti gestito e diretto da non-operai, da intellettuali e professionisti provenienti proprio dal tanto vituperato “ceto medio” urbano, e che era in stretta alleanza con partiti dei “ceti medi”, da cui per giunta dipendeva ideologicamente, si intendesse proporre un processo rivoluzionario per instaurare una dittatura “proletaria” che non avrebbe garantito neanche le libertà di stampa e di parola, e men che meno i diritti di organizzazione politica e sindacale e la rappresentanza democratica nei governi e nelle istituzioni, neppure a quei settori sociali e a quelle forze che erano alleate della classe operaia e del suo Partito (o autodefinitosi tale) nella lotta per superare la società capitalistica esistente.
Insomma, anche sull’analisi delle classi, sul loro ruolo, sui loro conflitti o alleanze, così come sul punto cruciale del potere in una possibile società post-capitalistica, si conferma – come già scritto diffusamente in Benicomunismo, ove ho cercato di superare del tutto ogni mia precedente reticenza sull’argomento in tanti anni di attività politica di orientamento marxista – l’esistenza di una forte scissione tra l’anelito “scientifico”, tra l’analisi concreta e quanto più possibile obiettiva di una situazione concreta (realizzata nello studio e nella descrizione del capitalismo e della formazione e riproduzione del capitale), e la spinta ideologica e politica che indusse Marx ed Engels ad esercitare vistose deformazioni nell’analisi del processo per il superamento del capitalismo e della possibile gestione di una società post-capitalista. Ad esempio, non usando equivalenti criteri “scientifici” per spiegare perché la lotta di classe avrebbe dovuto condurre «necessariamente alla dittatura del proletariato», e tanto meno come fosse ipotizzabile che una tale “dittatura” potesse costituire «soltanto il passaggio alla soppressione di tutte le classi e a una società senza classi». In realtà Marx ed Engels, e con essi il comunismo dell’Ottocento e della prima metà del Novecento, auspicarono idealisticamente tali risultati, venendo poi smentiti brutalmente dalla Storia che ha abbondantemente dimostrato come le società instaurate con la sedicente “dittatura del proletariato” – alcune decine – non abbiano prodotto né alcuna abolizione della divisione in classi né società economicamente e politicamente più giuste e democratiche di quelle capitalistiche co-esistenti.
Dunque, se si accetta la considerazione che l’analisi marxiana delle classi fu un processo ideologico e politico tramite una deformazione drastica della reale situazione sociale nei paesi a capitalismo realizzato – al fine di partorire uno schema predefinito da usare per il processo politico di costruzione del Partito “proletario” e della Rivoluzione “proletaria”, ingigantendo la forza e l’unità interna di una mitizzata classe operaia – dove possiamo dirigere la nostra ricerca per avere una risposta passabilmente organica e accettabile alle cruciali domande su cosa è realmente una classe e su quale sia il ruolo delle lotte di classe nelle trasformazioni sociali e in particolare nel processo di superamento del capitalismo?