Ritengo che i teorici della lotta di classe, e del superamento di essa mediante l’imposizione della dittatura del proletariato, non abbiano mai portato a fondo una vera analisi organica – empiricamente articolata, quanto più possibile obiettiva e con la dovuta complessità che un argomento così cruciale richiederebbe – di cosa sia una classe, per gli stessi motivi ideologici che spinsero i fisiocratici a descrivere le classi in maniera totalmente deformata da occhiali culturali e politici che pretendevano di vedere nell’agricoltura l’unica attività umana veramente produttiva. Analogamente, credo che l’avversione morale, culturale e politica di Marx, Engels e del comunismo “scientifico” nei confronti del capitalismo abbia finito per imporre ad essi un altrettanto deformante specchio ideologico che ha provocato, come ho cercato di descrivere dettagliatamente nel mio libro Benicomunismo, una scissione tra il rigoroso lavoro di analisi del capitalismo e una descrizione politica delle classi segnata da un wishful thinking, da un pensiero desiderante alla ricerca del nemico supremo e totalizzante del capitalismo, individuato nella classe operaia di fabbrica (il ricorso al termine “proletario” ne è quasi sempre un’estensione, ma i proletari non-operai risultano per lo più un’appendice della presunta classe-guida), vista come la possente leva per rivoltare il mondo. Alla quale classe Marx ed Engels, e al seguito i comunisti dell’Ottocento e del Novecento, attribuirono, almeno a parole e nella teoria, un ruolo prometeico e salvifico, assai hegelian-idealista: nel mentre, liquidavano con brutali semplificazioni tutte le cosiddette classi intermedie – che pure costituivano (e hanno continuato a costituire anche nel secolo successivo) la grande maggioranza della popolazione – nella recondita speranza che esse sarebbero state condotte dalla triturante macchina capitalistica nella grande classe purificatrice, nel campo operaio.
Però una tale scissione e una così marcata forzatura ideologica non potevano avvenire senza dar luogo a ripetute contraddizioni e cambi di opinione, non solo nel corso della parabola storica sessantennale dei fondatori del comunismo “scientifico” ma a volte anche nello stesso periodo temporale, a breve distanza da considerazioni opposte, soprattutto nei testi non destinati a larga diffusione politica. Ad esempio, solo due anni prima delle granitiche certezze sul Proletariato come una sorta di corpo unico e compatto esposte nel Manifesto, Marx ed Engels scrivevano nell’Ideologia tedesca28:

«I singoli individui formano una classe solo in quanto debbono condurre una lotta comune contro un’altra classe; per il resto essi si ritrovano l’uno contro l’altro nella concorrenza come nemici»29.

E solo pochi mesi prima del Manifesto, nella Miseria della filosofia30, il pamphlet che rispondeva assai polemicamente alla Filosofia della miseria di Proudhon, Marx annotava:

«La dominazione del capitale ha creato per la massa dei lavoratori una situazione comune, interessi comuni. Così questa massa è già una classe di fronte al capitale, ma non ancora per sé. Nella lotta questa massa si unisce, si costituisce in classe per sé»31.