«I ceti medi, il piccolo industriale, il piccolo negoziante, il contadino, tutti costoro combattono la borghesia per salvare dalla rovina l’esistenza loro di ceti medi. Non sono dunque rivoluzionari, ma conservatori. Ancora più, essi sono reazionari, essi tentano di far girare all’indietro la ruota della storia»44.

Qui gli intermedi, la piccola borghesia, sarebbero dunque “reazionari” perché vorrebbero salvare le loro vite e il loro lavoro combattendo la borghesia, ma soprattutto perché ostacolerebbero il libero funzionamento della presunta “ruota della storia”, che a parere di Marx e Engels avrebbe dovuto lasciare in campo solo operai e capitalisti, in attesa dello scontro finale, con il risultato peraltro già deterministicamente indirizzato verso la vittoria proletaria. Ben singolare modo di leggere il conflitto sociale e in particolare la questione cruciale delle alleanze anticapitalistiche! Se i “ceti medi” combattono la borghesia per salvarsi dalla rovina sono “conservatori” o “reazionari” perché farebbero girare all’indietro l’ipotetica ruota della storia che – secondo i desideri di Marx ed Engels – ne avrebbe previsto l’eliminazione: e dunque, invece di essere alleati preziosi della classe operaia, ne diverrebbero addirittura avversari o nemici; mentre se i proletari si ribellano al loro destino – che potrebbe anch’esso venir catalogato altrettanto semplicisticamente tra quelli imposti dalla fantomatica “ruota della storia” – essi diverrebbero per questo “rivoluzionari”. Ma altrettanto sorprendente è che solo pochi mesi prima, polemizzando con Proudhon, Marx scriveva tutt’altro:

«Proudhon ha il merito di essere l’interprete scientifico della piccola borghesia francese, un merito genuino, perché la piccola borghesia costituirà una parte integrante di tutte le imminenti rivoluzioni sociali»45.

La stessa contraddizione la si può ritrovare in alcuni brani della Storia delle teorie economiche (Vol. II, pag.634) laddove Marx criticava Ricardo perché «dimentica di mettere in evidenza il costante accrescimento delle classi medie che si trovano nel mezzo fra gli operai da una parte e i capitalisti e i proprietari fondiari dall’altra, in gran parte mantenuti direttamente dal reddito, e che gravano come un peso sulla sottostante base lavoratrice e accrescono la sicurezza e la potenza sociale dei diecimila soprastanti..(mentre) capitalista e operaio salariato sono gli unici funzionari e fattori della produzione». Dal ché si evincerebbe la consapevolezza della crescita irreversibile delle “classi medie” – sottaciuta in altre pagine marxiane in nome dell’ipotesi della loro tendenziale sparizione/emarginazione – ma nel contempo ne deriva una lettura del tutto ideologico-politica di esse, che sembrerebbero esistere e proliferare giusto per “accrescere la sicurezza” dei capitalisti e per “gravare come un peso” sugli operai, risultando contemporaneamente classi e ceti parassitari nei confronti dei proletari e cani da guardia del padronato borghese, come se non avessero alcuna autonoma dignità e funzione strutturale nel sistema capitalistico.
Qualcosa di altrettanto altalenante tra un’adeguata lettura della realtà sociale ed economica e una stridente deformazione ideologica di essa, la si nota anche in quello che può essere considerato l’ultimo testo politico rilevante di Marx, la Critica al programma di Gotha46, documento chiarificatore non solo degli scontri politici interni al socialismo tedesco degli ultimi decenni dell’Ottocento – di cui a livello internazionale Marx ed Engels erano generalmente considerati gli ispiratori e i numi tutelari – ma anche dell’impostazione politica e programmatica nell’ultimo decennio di attività comune dei due fondatori del comunismo “scientifico”. Nella Critica, tra i numerosi e pesanti attacchi che Marx porta ai seguaci di Lassalle e al gruppo dirigente socialdemocratico, ce ne è uno rilevante che riguarda proprio la questione delle classi e del loro ruolo nella trasformazione politica della società, ed in particolare la collocazione degli strati sociali “intermedi”, o “piccola borghesia”, che il programma di Gotha definisce, insieme a tutte le altre classi non-operaie «soltanto una mssa reazionaria», non facendo peraltro che riprendere i citati giudizi in merito presenti nel Manifesto.

«E’ un’assurdità affermare che (i ceti medi) costituiscano insieme alla borghesia, e per giunta alle classi feudali, soltanto una massa reazionaria rispetto alla classe operaia. Nelle ultime elezioni47 si è forse gridato agli artigiani, ai piccoli industriali, ai contadini ecc.: di fronte a noi, voi costituite insieme ai borghesi e ai feudali soltanto una massa reazionaria?»48.