Weber spiegò con questi argomenti il motivo dell’addensamento dello sviluppo capitalistico in alcuni paesi europei (anglosassoni e del centro-nord Europa, quelli più influenzati dal calvinismo protestante) e l’arretratezza delle regioni mediterranee, dominate dal cattolicesimo. Oggi, pensando all’attuale sviluppo capitalistico in paesi legati alle più diverse correnti religiose islamiche (sunniti, sciti, sunniti wahabiti ecc.), nessuna delle quali incentrata sulla predeterminazione, o nella Cina del più avanzato capitalismo di Stato esistente (ove al massimo si possono ripescare radici confuciane, esenti però da teorie sulla pre-destinazione), si è portati a sorridere di questa singolare teoria. Ma in realtà, già all’epoca, una simile lettura delle radici ideologiche e culturali del capitalismo avrebbe dovuto essere rovesciata senza difficoltà: per quale ragione – si poteva obiettare senza neanche scomodare il marxismo o l’ateismo – un individuo dovrebbe “sbattersi”, sacrificare il consumo, lottare tutta la vita per accumulare capitali e ricchezze, da abbandonare comunque con la vita terrena, se tanto il suo destino è già scritto ed è del tutto indipendente dalle sue azioni?
Poi, un attento esame storico, non influenzato da forti spinte ideologiche alla santificazione del capitalismo, avrebbe potuto segnalare come le prime forme di capitalismo – quelle di natura commerciale – si svilupparono nel Quattrocento e perdurarono nel Cinquecento non già nel Nord e Centro Europa ma proprio in quel Sud mediterraneo (soprattutto Italia, Spagna, Portogallo) ove il cattolicesimo era dominante, in tempi precedenti alla Riforma luterana e calvinista; e che non solo furono le grandi famiglie mercantili e commerciali del Sud Europa ad introdurre e generalizzare le logiche del risparmio e dell’accumulazione del capitale, ben prima di quelle anglosassoni e pur essendo di matrice cattolica, ma che lo stesso papato romano dell’epoca annoverò tra le sue massime gerarchie numerosi banchieri e accumulatori originari di capitale. Infine, una analisi anche sommaria delle ideologie e delle culture dominanti tra le correnti protestanti anglosassoni del Settecento, soprattutto in Nord America, avrebbe dovuto mostrare come esse fossero ossessionate (dai mormoni agli evangelici, dai quaccheri agli anabattisti fino all’”estremismo” Amish) dal demone del denaro, definito come una sorta di principe infernale, una Mammona in grado di corrompere ogni cosa, persone, relazioni umane, natura, oggetti: cosa che rendeva assai poco credibile un’esaltazione da parte loro della accumulazione dello “sterco del demonio” come via maestra per la salvezza eterna.
Dati dunque tutti questi elementi, inconfutabili anche all’epoca, il fatto che si spacciasse una sorta di ansia da prestazione verso il premio ultraterreno come la nobile molla per la creazione della realtà capitalistica, si comprende solo nel quadro di una potente attività ideologica che Weber e l’intellettualità della sociologia “borghese” produssero al fine dell’esaltazione del capitalismo e della sua pretesa superiore moralità rispetto ai sistemi sociali ed economici precedenti o di quelli ancora in vita in tanta parte del mondo non ancora toccata dall’etica protestante e dallo spirito del Capitale. In tal senso, è accettabile – per ciò che riguarda l’analisi weberiana delle classi e delle stratificazioni sociali, che riduce ai minimi termini il ruolo dei rapporti di produzione – il giudizio drastico che Illuminati ha espresso a suo tempo sull’opera complessiva di Weber e sull’insieme della sociologia “borghese” novecentesca: