Conquistato da questa visione paradisiaca, preda del più puro idealismo, Marx non prese mai in considerazione neppure come ipotesi la possibilità che l’abolizione della proprietà privata e la statalizzazione dell’intera economia potessero generare nella futura società post-capitalistica altre classi, altre forme di proprietà, di alienazione e di sfruttamento del lavoro salariato, altre modalità di dittatura, non del proletariato ma sul proletariato, sulle masse popolari e sull’intera società, come avevano previsto Bakunin e gli anarchici, messi per questo fuori dalla porta della Prima Internazionale con una drammatica scissione del movimento operaio. Anzi, in alcuni passaggi dell’Ideologia tedesca come nel Manifesto del Partito Comunista e in scritti successivi, Marx ed Engels rasentano un lirismo e un irrealismo davvero da sognatori tra le nuvole, in clamoroso contrasto con il rigore della critica all’idealismo di Hegel, Feuerbach, Bauer e Stirner. Per esempio:

“Nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile oggi fare questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore , né critico”(46).

La descrizione di questo Paradiso in terra, la totale realizzazione dell’Uomo Olistico, completo e onnisciente, libero da ogni vincolo e peso, forse risentì anche della necessità, da parte del Marx politico, di fissare un traguardo esaltante e beato per i primi militanti comunisti. Certo è che se alle parole “pescatore”, “cacciatore” o “critico”, sostituissimo, che so, “chirurgo”, “ingegnere edile” e “pilota di aereo”, l’idea che nel comunismo un Tizio operi un Caio un giorno, lavori per un ponte il dì seguente e successivamente passi a guidare un aereo, apparirebbe, più che un sogno tardo-hegeliano (quale realizzazione dello Spirito, quale sua incarnazione più immaginifica avrebbe potuto inventarsi lo stesso Hegel?), un incubo per i pazienti di quel chirurgo, i passeggeri di quell’aereo e gli automobilisti transitanti sul ponte.
Ma probabilmente questa analisi della persistenza dell’idealismo hegeliano in Marx ed Engels non affronta materialisticamente le concrete ragioni che portarono non solamente loro e i primi marxisti e comunisti, ma successivamente tutte le burocrazie o borghesie di Stato o ceti “piccolo-borghesi” di “sinistra” dell’ultimo secolo e mezzo, ad esaltare le doti prometeiche del Proletariato Unico, e poi nella realtà a pretendere di mettersene alla testa per farsi trasportare al potere, sia nei paesi a “socialismo di Stato” sia in quelli capitalisti che hanno concesso ampi spazi e poteri a questi ceti con tutti i vantaggi e le sinecure conseguenti: come, semplicemente e rudemente, Bakunin e gli anarchici della Prima Internazionale avevano previsto e denunciato ante litteram. Ma su tale vasto argomento tornerò in altra sede, volendo ora affrontate l’altra parte della costruzione teorica e politica di Marx, di Engels e dei comunisti dell’Ottocento, quella riguardante le fonti dello sfruttamento e dell’accumulazione capitalistica, della produzione e formazione di plusvalore, della natura e delle caratteristiche del lavoro salariato ieri e oggi.