Chi ha immesso tale valore? A chi è stato sottratto plusvalore in questo caso? Certamente a quella vasta categoria di produttori di idee, di emozioni e di simboli, che entrano però in produzione in maniera non sempre identificabile e catalogabile. Non si tratta infatti solo dei pubblicitari o degli addetti salariati a tale impegno all’interno dell’impresa vera e propria. In molti casi, il vero produttore di idee e di emozioni, l’inventore originario del marchio e del logo, che ha permesso di accumulare nel prodotto più valore di quanto ve ne fosse sulla base della sua pura materialità di oggetto di consumo finalizzato ad uno scopo precipuo (correre, fare ginnastica ecc..), viene derubato non solo del plusvalore ma dell’intero valore del prodotto immateriale che egli ha aggiunto, perché semplicemente la sua idea è stata scippata da qualcuno che ne ha visto le potenzialità e l’ha fatta propria senza essere obbligato a compensare in alcun modo il vero ideatore, che si ritrova, a volte senza neanche saperlo, ad essere cosi massimamente sfruttato. Quante idee, quante innovazioni, quanti logo, quanti segni sono stati semplicemente carpiti dai creativi di questa o quella multinazionale dal web, dai blog, dai social network, dall’abbigliamento di strada, dalle opere dei writers sui muri, dai giovani del rap e dell’hip hop delle piazze, dal look di una banda di quartiere o del popolo di una discoteca?
Ho fornito nelle ultime pagine una serie di esempi ad ampio raggio della enorme estensione del campo dei produttori/trici di valore, dei nuovi soggetti che, privati del plusvalore prodotto dal loro lavoro materiale o dalle loro ideazioni – in grande misura in qualità di salariati ma in parte non irrilevante addirittura gratuitamente – contribuiscono alla produzione e all’accumulo del profitto: e che dunque in termini marxiani sono definibili come sfruttati/e. E dalla descrizione appare già chiaro come a tale estensione si sia accompagnata una altrettanto ampia diffusione e differenziazione delle forze-lavoro salariate che producono profitto e che dunque possono essere soggetti della ribellione al sistema capitalistico e dei tentativi di suo superamento. Tornerò in altri scritti su ciò che questo comporta in merito alle modalità di organizzazione e di espressione di questo nuovo fronte salariato, potenzialmente anticapitalistico, seppur attualmente disperso e diviso. Per ora quanto qui esposto credo sia sufficiente per essere consapevoli e concordi sul fatto che, anche dal punto di vista della produzione di valore e dello sfruttamento, è indispensabile, a livello analitico e politico, andare ben oltre Marx, tenendo conto delle profonde trasformazioni della produzione capitalistica avvenute soprattutto nella seconda parte del Novecento e in questi primi anni del Ventunesimo secolo.