Ha suscitato un certo scalpore quanto accaduto all’Università di Torino nei giorni scorsi, con la presenza dell’imam Brahim Baya nell’università occupata, il quale, invitato (così ha affermato) per una preghiera (!), si è esibito in un esagitato comizio a favore dell’islamismo più radicale, inneggiando pure alla Jihad (nel chiarissimo significato, che oramai ha prevalso nell’islamismo più radicale, di “guerra santa”) definendola “sforzo per difendere i propri diritti, la vita umana e la pace” e di fatto giustificando l’orrendo massacro perpetrato da Hamas il 7 ottobre, in assoluto spregio delle vittime e delle mostruose violenze che quell’azione ha comportato. Certo, il silenzio che ne è seguito tra i gruppi studenteschi, peraltro in giusta mobilitazione per porre termine al feroce massacro di Gaza da parte del governo Netanyahu, di per sé lascerebbe già sorpresi se si pensi – e si faccia il confronto con il preoccupante no comment degli attuali studenti “conflittuali” – alle tante battaglie, ai ricorsi e alle sollevazioni contro i precetti pasquali e gli inviti di sacerdoti e prelati cattolici nelle nostre scuole, o agli “sbattezzi” in piazza e, più in generale, alle sollevazioni contro l’ingerenza della chiesa cattolica nella vita dei cittadini/e italiani da parte dei movimenti anticapitalisti di sinistra dei decenni passati.

Però, in realtà, la preoccupazione e lo sconcerto sono ingranditi dal più ampio contesto italico, europeo e statunitense, ove si comincia a delineare una sorta di diffusa islamofilia, con ripetuti casi di quella che non pare esagerato definire una forma di sottomissione alla pressione e alla propaganda dell’islamismo più aggressivo ed estremo. Il fatto che il termine sottomissione sia stato lanciato, con una certa eco, in Francia da uno strambo, solipsista e autocompiaciuto intellettuale reazionario come Houellebecq non toglie validità al fatto che il fenomeno stia accadendo non solo in Francia, ma negli Usa, in Inghilterra, e altrove, pur se l’Italia non sembra, almeno per ora, arrivare a quei livelli. Ma certo che l’episodio di Torino risalta e diviene non trascurabile soprattutto a causa dell’assonanza delle mobilitazioni studentesche e giovanili per la Palestina – negli Stati Uniti, soprattutto , ma anche in Francia e ora pure in Italia – con Hamas, con l’Iran, con la tesi che il 7 ottobre è stato un fulgido segnale “di riscatto del popolo palestinese” (scritto testualmente, ad esempio, dai Giovani Palestinesi in Italia) e con quello che non esito a definire il fascio-islamismo di stampo jihadista.

Partiamo da alcune considerazioni generali. L’attuale modello di religione islamo-jihadista è la più guerrafondaia di tutte le operanti religioni mondiali: predica, usando alcuni passaggi del Corano, il fatto che “con gli infedeli non ci potrà mai essere pace” e inneggia alla Jihad, alla “guerra santa ” permanente non solo conto gli ebrei e Israele, ma contro tutti i “valori” occidentali, e in genere contro gli infedeli ( e fino a ieri sunniti e sciti si consideravano infedeli o apostati tra loro e si ammazzavano allegramente, anche più che con gli “infedeli” dell’Ovest). La suddetta religione è anche la più reazionaria, la più sessista e la più omofoba (ed è agghiacciante che negli USA alcune organizzazioni LGBTQ inneggino a paesi dove i loro omologhi vengono torturati, squartati, impiccati da decenni) di qualsiasi altra religione diffusa nel mondo. Ma anche la più “sottomettente”: basta vederne i rituali, lo sdraiarsi verso la Mecca 5 volte al giorno senza osare manco tenere la testa eretta; la copertura di ogni centimetro di pelle femminile, nel timore che questo sconvolga i poveri maschi (che in compenso, se martiri, potranno godere di molte decine di Uri vergini nel paradiso di Allah); il divieto assoluto di far uso di alcool; il mese di digiuno giornaliero del Ramadan; la sottomissione delle donne agli uomini ecc. Ed è anche la più oppressiva nei confronti dei fedeli, ai quali si chiede di farsi, se occorre, “martiri”, o più semplicemente almeno assidui propagandisti, urbi et orbi, dell’integralismo islamico. E infine è quella che non tollera qualsiasi critica o battuta che tocchi l’Islam, Allah, il Corano e Maometto: mentre ci possiamo allegramente fare beffe del papa, di Gesù e del dio cristian-cattolico, ogni battuta sui punti caldi dell’islamismo richiede drastiche punizioni, morte e decapitazioni comprese (cfr. fatwa a Rushdie, agli insegnanti francesi et similia).

Ciò malgrado, accade che negli Stati Uniti giovanotte non islamiche si sdraino in preghiera nelle Università da 100 mila dollari l’anno (e finanziate per almeno un terzo dai paesi dell’islamismo più radicale), rivolte ossequiosamente verso la Mecca, che in Francia si risponda con reazioni tiepide o nulle (anzi, molti dissero “se le sono cercate”) non solo ai massacri degli anni scorsi modello Charlie Hebdo o discoteca Bataclan o alle uccisioni e decapitazioni di docenti che si sono permessi di diffondere in classe qualche informazione critica sull’Islam, ma ancora negli ultimi tempi non si reagisca per lo più manco al clima repressivo/oppressivo che tante famiglie dell’islamismo più aggressivo esercitano sul corpo docente, al punto che ora nelle scuole francesi nessuno osa più manco toccare l’argomento. Con la conseguente ondata, appunto, di sottomissione di fatto da parte non solo degli insegnanti ma della gran parte della pavida intellettualità “de sinistra” che trova ogni scusa ideologico-politica ( per esempio, ricorrendo al termine, ideato dai musulmani francesi e inglesi più radicali, di islamofobia verso chiunque metta in discussione il loro agire ultra-integralista) per giustificare la propria passività (per non contare i marpioni modello Melanchon che, lisciando il pelo agli islamisti, pensa di beccarsi qualche voto in pù). E come conseguenza scontata, l’islamismo jihadista avanza, e a modo suo “conquista” territori, con il paradosso piuttosto paralizzante che a denunciarlo culturalmente in Francia restano purtroppo gli Houellebecq del caso. Che certo sono l’altra faccia degli islamisti, altrettanto ferocemente integralisti, ma che denunciano qualcosa di evidenza lampante (se chiedi ad un reazionario di che colore è la neve, ti dice “bianca”, come direbbe ognuno/a di noi. Il guaio di alcuni opportunisti “de sinistra”, in Francia e non solo, è che, pur di non rischiare di essere aggrediti, picchiati o addirittura uccisi, sarebbero capaci di rispondere “è verde”).

E veniamo direttamente a noi. Come si fa a non vedere che la mobilitazione in difesa della Palestina non è quella degli anni’ 60 e ’70 quando gridavamo “Palestina libera” ma facendola seguire da “Palestina rossa”? Come si può ignorare che, con il pretesto di difendere la Palestina, della quale si è sempre fottuto, l’islamismo estremo sta conducendo una battaglia globale non solo contro ebrei e Israele ma contro tutto ciò che è “occidentale” o “infedele”? Non dice niente il fatto che citavo prima, che cioè un terzo dei finanziamenti alle università dell’Ivy League statunitense vengano dai paesi arabi fascio-integralisti? O l’evidenza clamorosa che nessuna mobilitazione del genere sia avvenuta contro i massacri di Assad in Siria (più di dieci volte quelli di Israele e cinque milioni di profughi), della teocrazia iraniana nonchè del boia Erdogan? E che durante la sanguinosa repressione della rivoluzione iraniana non si sia vista non dico un’università occupata ma manco la richiesta di interrompere gli accordi con le università iraniane, nè negli Stati Uniti, nè in Francia, nè in Italia?

E ancora. Non è chiaro che i palestinesi sono stati usati come vittime sacrificali per decenni dai paesi arabi che non hanno mai accettato la presenza di Israele in quel territorio? Paesi che nulla hanno mai fatto per aiutare sul serio i palestinesi, ma che anzi li hanno usati come carne da macello per screditare Israele, che certo del suo ci ha messo tutto il possibile usando il massacro come risposta “deterrente”? E che Hamas che, con il suo leader maximo Sinwar, afferma che pure “centomila morti palestinesi sono un prezzo accettabile per la nostra vittoria”, usa la resistenza palestinese per promuovere la “guerra santa” non solo contro Israele e gli ebrei ma in più in generale contro tutti gli “infedeli”? E che non solo se ne fotte del popolo palestinese ma che anzi lo usa come scudo umano per le proprie milizie inguattate in ospedali , moschee e scuole? Non è lampante che Hamas sapeva benissimo come Netanyahu avrebbe reagito al massacro del 7 ottobre, che ne avrebbe avviato uno assai più vasto e a largo raggio? E che Sinwar e la leadership di Hamas avevano messo in conto che più vittime gli israeliani avrebbero fatto e più l’opinione pubblica mondiale si sarebbe schierata con Hamas e l’Iran e contro non solo Israele ma gli ebrei tout court? Che le centinaia di miliardi di dollari ricevute da Hamas in una decina di anni avrebbero elevato assai il tenore di vita palestinese se non fossero stati usati sempre e solo per la suddetta “guerra santa” oltre che per l'”autofinanziamento” proprio? E dunque e infine: come si può accettare e condividere che nella mobilitazione pro-Palestina, di per sè sacrosanta e necessaria, però lo slogan-base sia quel “la Palestina libera dal fiume al mare” che fa proprio l’obiettivo storico di Hamas (che lo ha nel proprio Statuto), dell’Iran e dei fascio-islamisti cioè la cancellazione di Israele e del popolo ebraico in Palestina e nel Medio Oriente?

Piero Bernocchi