Se indaghiamo sui mutamenti prodotti nella scuola o nella sanità, nei trasporti, nella produzione di energia e nelle telecomunicazioni, nell’informazione pubblica, nell’usufrutto dell’acqua o nello smaltimento dei rifiuti, vediamo che settori fuori dal campo di azione del profitto in precedenza si stanno via via trasformando nei nuovi e grandi business del XXI secolo mediante un processo di privatizzazione, aziendalizzazione e mercificazione senza precedenti. Tornerò in altri scritti, e diffusamente, su questo tema – la mercificazione globale dell’esistente, anche come grande molla potenziale di una rinnovata opposizione anticapitalista – ma è il caso qui di sottolineare che tale processo sta avvenendo senza che sovente si siano neanche cambiate strutturalmente le forme di proprietà giuridica nei settori di neo-mercificazione, che magari restano “pubblici” in mano al capitale di Stato che li mette in produzione più o meno come il capitalismo privato e familiare.
Peraltro un qualche interesse e attenzione, in quanto comunque fonti di valore (e di plusvalore), alcune di queste categorie coinvolte nei meccanismi di produzione di profitti l’avrebbero meritata anche nei due secoli trascorsi. Quando Marx, nel brano già citato di Salario, prezzo e profitto, sottolineava che il valore del lavoro e il corrispondente salario è determinato “da un elemento fisico, dal fatto che l’operaio, per conservarsi, rinnovarsi e perpetuare la propria esistenza fisica, deve ricevere gli oggetti d’uso assolutamente necessari per la sua vita e la sua riproduzione…e da un elemento storico e sociale, determinato dal tenore di vita tradizionale in quel paese e in quel momento, che consiste..nel soddisfacimento di bisogni che nascono dalle condizioni sociali in cui gli uomini vivono”; e quando a ciò aggiungeva, sempre nello stesso testo, che nella determinazione del salario va tenuto conto della spesa che l’operaio deve affrontare “per allevare un certo numero di figli che debbono rimpiazzarlo sul mercato del lavoro e perpetuare la razza (sic!!!) degli operai”, nonché di quella “per lo sviluppo della sua forza lavoro e per l’acquisto di una certa abilità”, egli avrebbe dovuto aprire una porta all’inserimento di altre categorie lavorative, oltre agli operai di fabbrica e ai braccianti agricoli, nel novero di coloro che contribuiscono a determinare il costo delle varie forze-lavoro e che dunque sono dentro al meccanismo di formazione del plusvalore e del profitto, essendo coinvolte nel processo di abbassamento di tale costo.
Se in ogni caso nell’Ottocento la scolarità e la sanità di massa erano di là da venire e dunque l’inserimento delle corrispondenti categorie di salariati nel flusso di produzione di plusvalore e profitto era limitato, assai diversa è la situazione attuale, in cui ad esempio i lavoratori/trici della scuola e della sanità – oltre ad essere immessi direttamente nel meccanismo produttivo, rispettivamente, dell’istruzione-merce e della salute-merce, somministrate nella scuola-azienda e nell’ospedale-impresa – entrano con i costi delle proprie forze-lavoro anche in quelli della formazione, della conservazione e della riproduzione delle forze-lavoro del più vasto mondo dei salariati produttivi. Ma l’inserimento diretto in produzione, e dunque la sottomissione alla estrazione di plusvalore e allo sfruttamento capitalistico che Marx registrava pressoché solo per gli operai, riguarda anche altre categorie di salariati, quand’anche la loro retribuzione sia al di sopra del puro livello di sussistenza media, cosa d’altra parte ampiamente prevista da Marx in tutta la trattazione già citata sulle necessariamente diverse retribuzioni delle varie forze-lavoro nel sistema capitalistico: come ad esempio la categoria, ieri ristretta oggi assai ampia, dei tecnici che producono innovazione e trasformazioni tecnologiche che elevano significativamente la quota di profitto.