Pur essendo io lontano dalle teorie generali di Bakunin e dell’anarchismo – e in particolare dalla prospettiva di una società senza alcuna struttura istituzionale di gestione e decisione, e funzionante sulla base esclusivamente di forme di democrazia diretta che escludano ogni organo di democrazia delegata – non ho difficoltà a riconoscere che le prevedibili conseguenze della presunta “dittatura proletaria”, vaticinata da Marx e Engels e concretizzatasi in realtà in dittatura del Partito e della sua nuova aristocrazia in Urss e in vari altri paesi nel Novecento, erano state qui abbondantemente previste e descritte dal massimo teorico e politico anarchico. E per la verità Bakunin smontò anche l’artifizio dialettico marxiano riguardante la successiva ed auspicata estinzione dello Stato dopo la “provvisoria, e di breve durata, dittatura proletaria”:

“I marxiani, coscienti che un governo di scienziati(31), il più opprimente, il più offensivo e il più spregevole del mondo, sarà una vera dittatura, si consolano con l’idea che questa dittatura sarà provvisoria e di breve durata. Dicono che il suo unico intento sarà quello di educare e di elevare il popolo sia economicamente che politicamente ad un livello in cui ogni governo diverrebbe inutile e lo Stato, perdendo ogni suo carattere politico e di dominazione, si trasformerà in una organizzazione assolutamente libera. Abbiamo qui una flagrante contraddizione. Se lo Stato fosse veramente popolare perché sopprimerlo? E se la sua soppressione è necessaria per l’emancipazione reale del popolo come si osa chiamarlo popolare?…Dicono che questa dittatura è una misura transitoria, necessaria per poter raggiungere l’emancipazione integrale del popolo: l’anarchia o la libertà sono il fine, lo Stato o la dittatura sono il mezzo. E così per emancipare le masse popolari si dovrà prima di tutto soggiogarle… Affermano che solo la dittatura, la loro naturalmente, può creare la libertà del popolo; rispondiamo che nessuna dittatura può avere altro fine che quello della propria perpetuazione e che essa è capace solo di generare e di coltivare la schiavitù del popolo che la subisce”(32).

Inoltre Bakunin delineò con ottima lungimiranza anche la struttura della società auspicata da Marx, che definì comunismo di Stato, cioè il futuro “socialismo realizzato” novecentesco, con il capitalismo di Stato economico e la dittatura politica del Partito-Stato:

“Secondo la teoria del signor Marx, il popolo non solo non deve distruggere lo Stato, ma deve invece confermarlo e rafforzarlo e metterlo a disposizione dei suoi benefattori, tutori e maestri, i capi del Partito comunista, vale a dire del signor Marx e dei suoi amici che solo allora cominceranno a liberarlo a modo loro. Centralizzeranno le redini del potere in un pugno di ferro perché il popolo ignorante esige una tutela molto energica; istituiranno una unica Banca di Stato che concentrerà nelle proprie mani tutto il commercio e l’industria, l’agricoltura e anche la
produzione scientifica, e divideranno la massa del popolo in due eserciti: uno industriale e l’altro agricolo sotto il diretto comando degli ingegneri di Stato che formeranno una nuova casta privilegiata politico-scientifica”(33).

Insomma, secondo Bakunin tutto quello che il marxismo e il comunismo “scientifico” teorizzavano come pars construens per una società post-capitalistica aveva poco a che fare con l’idealismo: a suo parere Marx e i comunisti sapevano benissimo che il proletariato – oltre a non essere una realtà unica e cosciente di sé e dei propri compiti storici, e men che meno immune dai gravami del nazionalismo, della religione, del familismo e del rispetto della legalità borghese – non sarebbe stato in grado di contrastare, nel caso di successo rivoluzionario, la presa del potere da parte di una “casta”, organizzata nel Partito Comunista, che avrebbe esercitato direttamente una dittatura di Stato su masse prive di ogni strumento di organizzazione diretta, politica, sindacale o sociale.