Però, malgrado questa dispersione della condizione proletaria, nel Novecento si è registrato un vasto allargamento del lavoro subordinato, in maniera molto più estesa di quando, nel secolo precedente, Marx descriveva un proletariato dilagante e quasi omogeneo, e una tendenziale sparizione delle classi intermedie. Nell’Ottocento la condizione salariata riguardava prevalentemente gli operai delle fabbriche, il bracciantato agricolo e i lavori servili di cura e di assistenza, ma si diffuse via via nel commercio, nella navigazione, nella ristorazione e nei traffici, negli impieghi statali, burocratici e amministrativi, nella sanità e nell’istruzione: settori che la (quasi) esclusiva attenzione marx-engelsiana agli operai, come unici produttori di valore (e dunque oggetti di sfruttamento e perciò antagonisti del Capitale), poneva in ombra o ignorava del tutto.
La progressiva crescita del ruolo dello Stato come gestore del capitale “pubblico”, lo sviluppo novecentesco del Welfare/Stato sociale, almeno nella parte capitalisticamente avanzata del mondo, l’impetuosa crescita di settori economici terziari, produttori di merci e di valore, la diffusa mercificazione di Beni comuni in precedenza sottratti al destino di fonti di profitto, hanno allargato notevolmente il campo del lavoro salariato, contribuendo nel contempo ad una ulteriore differenziazione di esso. Ma a questo incremento, diffusione e diversificazione non ha corrisposto, nella grande maggioranza delle elaborazioni delle organizzazioni marxiste e comuniste, una altrettanto crescente attenzione agli effetti della dispersione/diffusione dei salariati, forse a causa della convinzione che nel sempre più ampio mondo salariato permanesse una cesura netta tra produttori e non produttori: e che, dunque, i soggetti potenziali antagonisti del Capitale, in quanto creatori di plusvalore, fossero esclusivamente le categorie classiche degli sfruttati ottocenteschi. E a proposito di tale generalizzato e clamoroso ritardo analitico nei riguardi dell’estensione dei luoghi di produzione di valore e dei soggetti di tale produzione – insieme alla loro frammentazione e differenziazione – basterebbe analizzare ad esempio la parabola storica percorsa negli ultimi decenni dal lavoro intellettuale/mentale.
Ritengo che quella che si può definire la rivoluzione informatica, dagli anni’70 ad oggi, sia stata la più esplosiva, per rapidità e intensità, delle mutazioni produttive e sociali nella storia dell’umanità: e che essa, più di ogni altra, abbia trasformato le caratteristiche del lavoro, intellettuale in primo luogo, con effetti dirompenti sui rapporti tra forze-lavoro e Capitale, nonché all’interno dell’universo salariato. L’unico paragone possibile, quello con la rivoluzione industriale ottocentesca descritta ad abundantiam da Marx ed Engels, mi pare confermi questa considerazione: allora lo sradicamento dei contadini dalle campagne e lo smantellamento di gran parte del lavoro autonomo artigiano, per mettere a disposizione delle fabbriche una cospicua folla di salariati neo-operai, avvenne in tempi decisamente più lunghi e con maggiore gradualità. E per giunta coinvolse quasi esclusivamente il lavoro manuale mentre le attività mentali o intellettuali, quand’anche già inserite nella produzione di profitto e nella mercificazione, ne vennero modificate in maniera piuttosto superficiale: al contrario di quanto accaduto negli ultimi quaranta anni, laddove una marea di attività sono addirittura scomparse o sono mutate in maniera radicale, e al contempo un altrettanto vasto numero di nuove forme, ove il manuale e l’intellettuale vanno sempre più intrecciandosi, sono comparse e occupano la scena, producendo valore in luoghi e con modalità impensabili fino a ieri.
La rivoluzione informatica ha due facce decisive per lo scombussolamento della realtà produttiva e sociale globale: da una parte la macchina infotelematica, dal computer in avanti, si è appropriata del sapere, delle capacità, delle idee del lavoro mentale umano, spossessandone irrimediabilmente i proprietari, i lavoratori mentali e più in generale chiunque produca in qualsiasi forma conoscenze ed ideazioni; dall’altra, accelerando incredibilmente la mercificazione del sapere, della conoscenza, delle comunicazioni e delle informazioni, non solo sta allargando la produzione di profitto e di plusvalore a tutto l’immateriale esistente, ma ne va ampliando quotidianamente gli orizzonti in maniera che sembra inarrestabile, dando vita di continuo a imprevedibili nuove sorgenti di profitto e mettendo in produzione masse crescenti di individui, a volte senza che essi neanche siano inseriti in qualche luogo produttivo determinato e circoscritto. Questo sconvolgimento epocale ha in particolare colpito la figura classica dell’intellettuale, trasformandola in gran parte in una diffusa e polivalente intellettualità di massa, in forza-lavoro mentale salariata poliedrica e flessibile, in grado di adattarsi a tutte le esigenze della macchina infotelematica e della produzione.