La granitica convinzione che l’abolizione della proprietà privata e l’instaurazione della dittatura proletaria provochino di per sé l’uscita dalla “preistoria umana”, la fine della lotta di classe, di ogni classe, della politica e dunque di ogni significativo conflitto sociale, di cui la politica sia elemento di regolazione e composizione; l’assoluta indifferenza verso le forme di questi titanici passaggi, delle caratteristiche ed espressioni concrete della “dittatura” che, miracolosamente, avrebbe dovuto garantire “il libero sviluppo di ciascuno e di tutti”; la totale assenza di qualsiasi dubbio sul fatto che dopo l’abolizione della proprietà privata altre classi avrebbero potuto sostituire quelle eliminate e che lo stesso capitale si potesse ripresentare in altra forma (ad esempio, come poi accaduto, come capitale di Stato, “pubblico”, gestito da ceti riproducenti sfruttamento della forza-lavoro e divisioni sociali) appaiono voragini del pensiero davvero impressionanti, tanto più provenendo da tali menti “scientifiche”.
Ma sopratutto non può non apparire l’enorme carico ideologico, teorico e politico che questa impostazione ha fatto gravare sul comunismo storico, soprattutto dal momento in cui qualcosa di simile alla prevista e desiderata “dittatura proletaria” si è andata concretizzando nella esperienza sovietica. Aver reso consequenziale l’abolizione della proprietà borghese privata dei mezzi di produzione e l’avvio della scomparsa delle classi, del conflitto sociale e addirittura della politica, non poteva che comportare un disarmo teorico e pratico di fronte al costituirsi di nuove forme di proprietà (apparentemente pubbliche e collettive) dei mezzi di produzione, che continuavano ad operare in forma capitalistica (il capitalismo di Stato, oggi ad esempio alla cinese, come apice delle trasformazioni del Capitale), portando nel contempo al Partito Unico, all’identificazione di esso con lo Stato “proletario” e alla cancellazione di ogni forma organizzata di espressione degli interessi concreti dei vari settori del lavoro salariato, interpretando dissenso e conflitto come manifestazioni residuali della resistenza delle vecchie classi borghesi. A tal proposito, va ricordato che i prevedibili esiti di una tale impostazione vennero all’epoca messi a nudo con nettezza e con una notevole virulenza teorica e politica, sostenuta però da solidi argomenti, da Michail Bakunin(27) che nel suo Stato e anarchia (1874), così disvelava e denunciava l’intero progetto:

“Lassalle(28) e Marx raccomandano ai lavoratori la fondazione di uno Stato popolare che, come hanno spiegato, non sarebbe altro che “il proletariato elevato al rango di casta dominante”(29). Se il proletariato diverrà la casta dominante sopra chi dominerà? Ciò significa che rimarrà ancora un altro proletariato sottomesso a questa nuova dominazione, a questo nuovo Stato…Che cosa vuol dire il proletariato organizzato in casta dominante? E’ mai possibile che l’intero proletariato si ponga alla testa del governo? Che tutto il popolo governi e non ci siano governati?Questo dilemma è risolto semplicisticamente nella teoria marxiana. Con governo popolare essi intendono il governo del popolo da parte di un piccolo numero di rappresentanti eletti. L’universale diritto di elezione dei sedicenti rappresentanti del popolo e dei governanti dello Stato é una bugia che nasconde il dispotismo di una minoranza dirigente tanto più pericolosa in quanto si presenta come l’espressione della cosiddetta volontà del popolo. Così da qualsiasi parte si esamini la questione si arriva sempre allo stesso spiacevole risultato: al governo da parte di una minoranza privilegiata sull’immensa maggioranza delle masse popolari. Ma questa minoranza, ci dicono i marxiani, sarà di lavoratori. Sì, certamente, di ex-lavoratori, i quali non appena divenuti governanti o rappresentanti del popolo non saranno più lavoratori e guarderanno il mondo del lavoro manuale dall’alto dello Stato, non rappresenteranno più il popolo ma sé stessi e le proprie pretese di voler governare il popolo..Ma questi eletti saranno socialisti ardenti e per di più scientifici. Queste parole, “socialisti scientifici”, “socialismo scientifico”, che si incontrano costantemente nelle opere e nei discorsi dei lassalliani e dei marxiani provano che il cosiddetto Stato popolare non sarà altro che il governo dispotico sulla massa del popolo da parte di una aristocrazia nuova e molto ristretta di veri o pseudo-scienziati. Il popolo, dato che non è istruito, sarà completamente esonerato dalle preoccupazioni di governo e sarà incluso in blocco nella mandria dei governati. Che bella liberazione!”(30).