“Che relazione passa tra i comunisti e i proletari in generale? I comunisti non costituiscono un partito particolare di fronte agli altri partiti operai. Essi non hanno interessi distinti dagli interessi del proletariato nel suo insieme. Non erigono principi particolari sui quali vogliono modellare il movimento proletario. I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari solo per il fatto che da un lato nelle varie lotte nazionali dei proletari essi mettono in rilievo e fanno valere quegli interessi comuni dell’intero proletariato che sono indipendenti dalla nazionalità; dall’altro per il fatto che rappresentano sempre l’interesse del movimento complessivo. In pratica i comunisti sono la parte più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi, quella che sempre spinge più avanti…Le posizioni teoriche dei comunisti non poggiano affatto sopra idee e principi che siano stati inventati o scoperti da questo o quel rinnovatore del mondo. Esse sono solo espressioni generali dei rapporti effettivi di una lotta di classe che già esiste di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi”(21).

Questo apparente spontaneismo cela una assai poco rassicurante forma di totalitarismo ideologico e politico, che avrà conseguenze colossali sull’intero movimento comunista e sulle esperienze storiche basate su tali concezioni, Rivoluzione russa in primis. Se il proletariato viene oggettivamente e deterministicamente unificato, malgrado la concorrenza interna, e reso uno irresistibilmente, e dotato di una coscienza politica collettiva dallo sviluppo capitalistico; se i comunisti ne sono la semplice rappresentanza “oggettiva”, la fotografia dei suoi reali interessi, dati per omogenei e unificati e sottratti al giudizio dei diretti protagonisti; se i comunisti sono gli interpreti genuini del “movimento complessivo” e ne difendono gli interessi indipendentemente dalle nazionalità e particolarità; se ne sono la parte più risoluta, quella che “spinge sempre avanti”, ebbene ne consegue necessariamente non solo l’inutilità degli altri partiti ma la loro dannosità, in quanto elementi di freno o di ostacolo o, peggio, come espressioni della classe antagonista, cavalli di Troia della borghesia e del Capitale nelle fortezze operaie.
Insomma, ci sono già qui tutti gli elementi per l’affermazione del Partito Unico, del Partito-Stato, del Partito Custode dei veri interessi complessivi del proletariato, conoscitore supremo, assai meglio dei singoli operai in carne ed ossa, dei loro desideri e bisogni. Proletariato che, peraltro, più diviene ente astratto nella trattazione teorica e politica, tanto più viene idealizzato nel suo insieme.

“I ceti medi, il piccolo industriale, il piccolo negoziante, l’artigiano, il contadino, tutti costoro combattono la borghesia per salvare dalla rovina la loro esistenza di ceti medi. Non sono dunque rivoluzionari ma conservatori. Ancor più, essi sono reazionari, essi tentano di far girare all’indietro la ruota della storia..Di tutte le classi che stanno oggi di fronte alla borghesia, solo il proletariato è una classe veramente rivoluzionaria. Le altre classi decadono e periscono con la grande industria, mentre il proletariato ne è il prodotto più genuino…Il proletario è senza proprietà; le sue relazioni con la moglie e con i figli non hanno più nulla in comune con i rapporti familiari borghesi; il moderno lavoro industriale, il moderno soggiogamento al capitale, lo ha spogliato di ogni carattere nazionale. Le leggi, la morale, la religione, sono per lui altrettanti pregiudizi borghesi”(22).