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valutazione sul Forum sociale mondiale di porto alegre

(25-30 gennaio 2001) delle delegazioni della

Confederazione cobas e del s.in.cobas

Il Forum di Porto Alegre nelle intenzioni dei promotori…

Nell’ambito del processo di costruzione di una rete mondiale del movimento ostile alla “globalizzazione” capitalista, avviato a partire dalla mobilitazione di Seattle, il Forum di Porto Alegre ha costituito, a nostro avviso, un poderoso salto di qualità, che è andato ben al di là delle previsioni delle stesse forze che ne hanno costituito il comitato promotore. Ancora un mese prima dell’inizio del Forum, il Comitato promotore, sulla base delle adesioni pervenute, temeva non si superasse il migliaio di partecipanti, legati a non più di due centinaia di strutture organizzate. In realtà, i delegati e le delegate al Forum sono stati quasi cinquemila, le presenze, nei sei giorni di lavoro, si sono avvicinate a ventimila, e le organizzazioni partecipanti censite sono state quasi un migliaio.

Va ricordato che il gruppo promotore si è costituito su un asse Brasile – Francia, in rappresentanza delle due situazioni di conflitto sociale forse più ampie e articolate, per ciò che riguarda l’ultimo decennio, rispettivamente nell’America del Sud e in Europa. Il blocco politico sociale costituito dal Movimento Sem Terra (e attraverso esso, da Via Campesina, la rete mondiale di organizzazioni contadine antiliberiste e anticapitaliste, collaudata a Seattle e la cui notorietà è stata assai accresciuta dagli exploit massmediatici di Josè Bovè), dalla CUT (il più grande e radicale sindacato brasiliano e sudamericano) e dal PT (il Partito dos Trabalhadores, che dirige alcuni stati brasiliani di rilievo come quello di Rio Grande do Sul, la regione con maggiore tradizione di lotta anticapitalistica e con capitale Porto Alegre, nonché varie amministrazioni locali e città di grande rilievo come la stessa Porto Alegre, San Paolo e varie altre), ha stabilito un’alleanza politica e tecnica con il movimento di ATTAC (nato inizialmente in Francia, su impulso del gruppo di “Le monde diplomatique”, delle varie strutture di disoccupati e immmigrati, della Rete delle marce europee e del sindacato di base SUD, per sollecitare i governi ad introdurre la tassa TOBIN, cioè una seppur limitata tassazione delle transazioni finanziarie), che ha trascinato con sé rappresentanti di organizzazioni sociali, sindacali, ecologiste, femministe antiliberiste e anticapitaliste di ben 120 nazioni, al fine di dare organicità, stabilità e unitarietà ad una rete mondiale antiliberista, ad una vera e propria “nuova Internazionale” dell’antagonismo al “pensiero unico” capitalista.

Di particolare rilievo a nostro giudizio è il ruolo positivo e fortemente partecipativo svolto dalle donne nei dibattiti e nei seminari del Forum. La particolare condizione sociale evidenzia un forte impegno nella partecipazione politica e sociale e nella lotta contro il ruolo fortemente sessista del politiche neoliberiste. Particolarmente interessante è risultato in questo contesto l’impegno a costruire un intervento di massa sui temi della formazione e dell’educazione, come strumento per aggredire la cultura discriminante e violenta del macismo, che in molte parti del pianeta assume aspetti devastanti.

… e nelle nostre intenzioni –

Da parte nostra, la partecipazione a Porto Alegre (oltre al contemporaneo appuntamento di Davos, di cui il Forum costituiva il controaltare) è apparsa, fin dall’inizio, ineludibile per una serie di motivi convergenti:

  • Cobas e Sincobas sono parte attiva del rinascente movimento anticapitalista mondiale ed hanno tutto da guadagnare nell‘avanzamento della interconnessione mondiale di tale movimento;
  • Cobas e Sincobas necessitano, in particolare, di co-promuovere e accelerare la costituzione di una rete mondiale di sindacati antagonisti e anticapitalisti capace di riaffermare la centralità del conflitto tra Capitale e Lavoro e, dunque, l’urgenza della costituzione, di contro all’Internazionale del capitale, di una Internazionale del lavoro dipendente e salariato, che coinvolga in modo stabile anche il mondo del lavoro precario, e che abbia in tutte le sue forme nel contempo carattere sindacale, politico (ma non partitico) e culturale;
  • tale rete deve intendersi come parte integrante del movimento antiliberista mondiale, nel cui quadro deve stimolare un nuovo protagonismo del lavoro salariato in tutte le sue forme;
  • occorre costituire urgentemente, a partire dal livello europeo, coordinamenti tra strutture sindacali antagoniste, nonché di settore e di categoria (scuola, sanità, trasporti, telecomunicazioni e informazione, metalmeccanici, energia, enti locali ecc..) e all’interno delle imprese multinazionali per unificare le lotte in questi campi su scala continentale.

Un grande salto di qualità’

L’ impressione più vistosa che possiamo trarre da Porto Alegre è quella di un grande salto di qualità nel processo di coordinamento mondiale delle iniziative antiliberiste e di una sua oramai assodata irreversibilità. Se Seattle aveva dato il segnale decisivo in questo senso, a breve distanza Porto Alegre ci dice che, d’ora in poi, la dimensione internazionale sarà obbligatoria per qualsiasi forza anticapitalista che voglia davvero essere degna di questo aggettivo. In altri termini ci pare che l’agenda delle mobilitazioni, dei temi di lotta e dei passaggi organizzativi sarà sempre più determinata a livello globale e che le forze a pura “circolazione” nazionale saranno giocoforza altamente condizionate da tale dimensione: dunque, starà ad esse saperla gestire o subirla passivamente. Ne conseguiranno mutamenti nelle modalità di azione, e in particolare nell’attività necessariamente unitaria legata alle principali scadenze di dimensione internazionale. Si sarà portati ad inserirsi in una rete di dimensioni più o meno ampie per poter agire da protagonisti o comunque avere una certa voce in capitolo.

Bisognerà avere la duttilità necessaria per sostenere adeguatamente i nostri temi e, nel contempo, non autoghetizzarsi in dimensioni ristrette e inadeguate al nuovo contesto: e per noi un primo e importante banco di prova in tal senso sarà la mobilitazione contro il G8 a Genova, nei termini in cui ne abbiamo parlato nel precedente testo scritto (allegato a questa relazione)

A favore delle sensazioni di irreversibilità del processo di organizzazione a livello mondiale, innescato a Porto Alegre, possiamo citare i seguenti fattori:

  • la partecipazione straordinaria, in quantità e qualità, al Forum;
  • il notevole peso di un vasto gruppo delle forze e delle reti presenti e, segnatamente del blocco brasiliano, della rete antagonista contadina di Via Campesina intorno all’asse Bové-Sem Terra – aria asiatica, della rete Europea e mondiale di Attac, del coordinamento femminista della marcia Mondiale delle donne, di Jubilee 2000 (la rete mondiale per l’annullamento del debito dei paesi del terzo mondo), nonché delle organizzazioni latino-americane presenti;
  • il supporto istituzionale fornito dal Partido dos Trabalhadores che garantirà, quasi certamente, un almeno altrettanto netto successo organizzativo anche della prossima edizione del forum (a fine gennaio del 2002) sempre a Porto Alegre e che, poi, passerà il testimone solo a realtà che sapranno offrire altrettante certezze organizzative e strutturali;
  • il fatto che, per la prima volta, circa 200 organizzazioni sociali, sindacali e politiche si danno – e lanciano con un documento di chiaro taglio anticapitalista, nonostante non poche mediazioni – un calendario di scadenze internazionali, nell’arco di un anno, che diverranno tappe obbligate per tutto l’antiliberalismo mondiale.

I LIMITI DEL FORUM

Guai, però, a cancellare d’imperio i limiti che il forum ha avuto e che forse era inevitabile che avesse. Intanto, mancavano intere aree geografiche e politiche, ed altre erano decisamente sottorappresentate: basti pensare che l’inglese, di solito lingua dominante, è stata relegata al rango di lingua “di nicchia”, quasi come l’italiano, e che – al 90% – si è parlato in portoghese, spagnolo e francese; “rivincita” indubbia nei confronti del colonialismo linguistico USA, ma anche testimonianza della presenza marginale dell’area nordamericana, dell’area australiana, del nord e centro Europa, dell’Est Europeo e di parti consistenti asiatiche. In secondo luogo – e soprattutto – il dibattito aperto, libero e non precostituito non ha avuto lo spazio adeguato, se non in decine e decine di commissioni di dimensioni ridotte e nella commissione dei movimenti sociali, che è stata il vero cuore della discussione e che ha partorito l’unico documento finale di grande peso (formalmente il Forum si è chiuso senza un unico documento, ma quello di tale commissione è stato universalmente considerato il documento del FORUM). Le sedute plenarie della mattina (4 ogni giorno) sono state monopolizzate dal dibattito tra relatori (in totale 84) che erano personaggi di notevole o significativo peso mondiale solo in parte. Gli organizzatori sono stati forse condizionati dalla necessità di richiamare l’attenzione sul FORUM grazie ad alcuni grandi nomi: ma, a posteriori, sarebbe stato meglio limitare il numero dei “personaggi” e ampliare lo spazio dei dibattiti liberi e tematici, con platee di 2000-3000 persone per volta.

Particolarmente negativa ci è parsa la discussione “blindata” svoltasi nella “plenaria” dedicata alla questione sindacale. Si è trattato in sostanza di un dibattito tra rappresentanti dei sindacati brasiliani (CUT), statunitensi (AFL-CIO), spagnoli (Comissiones Obreras), canadesi e sudafricani (Cosatu), i cui interventi, anche di buon livello -salvo quello francamente scandaloso del rappresentante spagnolo-, non comunicavano tra di loro, mancando un comune oggetto di discussione, e dentro il quale è stato riservato pochissimo spazio (3’ ciascuno) agli altri – pochi – interventi tra cui il nostro. Anche in un’altra assemblea, seppure con più ridotta come partecipazione, convocata da una componente della CUT c’è stata una risposta solo parziale e confusa a chi (noi soprattutto, ma anche altri interventi) chiedeva una qualche forma di coordinamento mondiale delle organizzazioni sindacali antiliberiste e una maggiore presenza nelle mobilitazioni generali antiglobalizzazione. Non va però sottaciuto, a riprova delle tante contraddizioni del movimento, il tono fortemente anticapitalistico, con un rilancio persino troppo didascalico/didattico dell’analisi marxista della realtà, che una parte consistente dei dibattiti “precostituiti” ha avuto: segnaliamo Stédile (uno dei leader dei Sem Terra) e di Bovè, di Lula (fondatore e leader del PT) e di Ben Bella (“padre” della rivoluzione algerina), nonché dell’intero dibattito – nel quale noi abbiamo svolto il nostro compito – avvenuto nella commissione (con un migliaio di partecipanti) dei movimenti sociali.

LA DELEGAZIONE ITALIANA

Nel FORUM si è manifestata, da parte italiana, una singolare anomalia: proprio la realtà che viene dipinta come rissosa, conflittuale e assai scarsamente riducibile a unità (in realtà lo sono tutte le realtà nazionali, in tutto il mondo) si è presentata sovente, nei dibattiti e alla stampa, come delegazione unitaria: per nessun altro paese è successo qualcosa di simile. Questo è avvenuto, a nostro avviso, per due ordini di motivi:

  • la necessità di inserire la mobilitazione contro il G8 a Genova tra i grandi appuntamenti assunti dal FORUM come propri;
  • il bisogno di unire tante debolezze (nessuna delle componenti della delegazione italiana aveva, in partenza, un qualche ruolo significativo nel gruppo promotore del FORUM, né “agganci” davvero forti con esso) per fare una forza e avere un ruolo di un qualche peso nella gestione del FORUM e delle sue conclusioni.

Consapevoli di queste due necessità, noi abbiamo accettato una certa discussione unitaria, lavorando per il successo dei due obbiettivi succitati. Ma, nel contempo, abbiamo considerato utile e necessario definire una posizione unitaria in relazione agli obiettivi citati, riservandoci nel contempo un ampio spazio di iniziativa in quanto Cobas – Sin.Cobas, sia nei dibattiti che nelle conferenze stampa, sia nei rapporti con forze o gruppi, sia nello “stoppare” tentativi egemoni emersi all’interno della delegazione italiana: il tutto non senza il manifestarsi di tensioni e latenti polemiche, che però non hanno superato un livello fisiologico, vista l’anomalia del procedere come “delegazione Italiana” in alcune circostanze.

COME SI ESCE DA PORTO ALEGRE

C’è stata, fin dal primo giorno, una discussione animatissima nel Comitato Promotore (ove, oltre alla CUT, ai Sem Terra e ad Attac, erano presenti realtà sociali e culturali brasiliane di scarso peso specifico, ma che hanno condizionato alcuni passaggi non irrilevanti nel FORUM) su come concludere il FORUM e su quale seguito dare ad esso: e quando tale discussione si è “incagliata”, l’ assemblea dei movimenti sociali, la CUT, i Sem Terra, Via Campesina ed altri hanno giocato un ruolo decisivo perché si arrivasse ad una conclusione positiva, che si è articolata nei seguenti punti (nei confronti dei quali ha avuto notevole rilievo anche l’insieme dei rapporti di forza tra le varie componenti politiche e geografiche del Partido dos Trabalhadores, tema sul quale non è il caso qui di addentrarsi):

  • presentazioni di un documento finale, chiamato “Appello di Porto Alegre per le prossime mobilitazioni”, – che, come delegazione italiana, abbiamo contribuito significativamente ad emendare in senso positivo – che, seppure emanato dalla commissione dei movimenti sociali, ha assunto il carattere di documento generale ed è stato firmato da quasi tutti; da segnalare che le OO.SS. aderenti alla CES, compresa la Cgil, non hanno firmato il testo e che quindi i Cobas ed il S.in.Cobas risultano le e le forze di un qualche peso presenti uniche organizzazioni sindacali italiane firmatarie.
  • convocazione del secondo FORUM a Porto Alegre per il prossimo gennaio, con una prima riunione preparata a marzo, nella quale si cercherà di risolvere il problema dell’allargamento vistoso del gruppo promotore che gestirà il prossimo FORUM;
  • assunzione dell’appuntamento di luglio a Genova come centrale (insieme ad altri) per l’intero movimento, e impegno specifico delle principali organizzazioni ad essere presenti a Genova (da Bové ai Sem Terra, dalla CUT ad Attac, dal PT a SUD).

UN BILANCIO PER NOI

Il bilancio per noi è decisamente positivo. Innanzitutto va riconfermato il segno forte lanciato dal Forum rappresentato da quei milioni di uomini e di donne che tornano ad unirsi in nome del bisogno radicale di una società diversa, ostile alle politiche neoliberiste, nel nome di un nuovo internazionalismo.

Non si poteva, naturalmente, recuperare di botto il notevole ritardo accumulato sul piano internazionale dal sindacalismo antagonista italiano e dai Cobas, in particolare, che in questa occasione hanno potuto, comunque, far tesoro delle esperienze avute su tale terreno dal Sincobas. Oltre al ruolo unitario svolto come parte della delegazione italiana (anche nel suddetto ruolo di “deterrente” anti-egemonico di questo o di quello), siamo intervenuti ripetutamente nelle sedi generali possibili, come organizzazione “sindacale” europea più visibile (anche per la carenza degli altri), dalla “commissione” sindacale a quella “sociale”, fino alla conferenza-stampa di solidarietà a Bové, ove siamo stati l’unica organizzazione europea che ha preso la parola. Abbiamo in particolare proposto che a Genova si svolga una giornata di dibattito tra le varie organizzazioni sindacali antiliberiste mondiali, ricevendo un sostegno di massima da parte di numerose strutture, e accordandoci con la delegazione dei francesi di SUD (con la quale si è lavorato unitariamente durante tutta la settimana) per la gestione di tale giornata che andrà sanzionata nella riunione del 24-25 marzo, che sarà, come già detto nel precedente scritto su Genova, a carattere internazionale e che delinerà le caratteristiche dell’intera mobilitazione.

Abbiamo, infine, preso un impegno di massima con la CUT brasiliana che, a ottobre, vuole fare un meeting a carattere mondiale delle organizzazioni sindacali antiliberiste, antagoniste e anticoncertative. In tutto questo, è stato di notevole ausilio il fatto che la delegazione fosse in grado di intervenire in francese e spagnolo mentre è stato certo limitante il non “maneggiare”il portoghese.

In futuro, ci attrezzeremo meglio, ma è bene che tutti i militanti della nostra organizzazione sappiano che non c’è alcuna possibilità di utilizzare in queste sedi l’italiano, contando sulla traduzione, né quelle ufficiali che rarissimamente comprendono l’italiano, né quelle “a braccio”, dati i tempi ristretti degli interventi.

Per le delegazioni

Confederazione COBAS

Nicola Delussu, Piero Bernocchi, Tonino Cordeschi

Sin. COBAS

Luciano Muhlbauer, Aldo Tediosi

febbraio 2001