Il “noi” non si riferisce solo ai COBAS, e neanche esclusivamente a quella che chiamo la compagneria, (l’area più militante della sinistra conflittuale e anti-sistema), ma alle più ampie forme di conflittualità e di movimenti, anche solo settoriali o territoriali, che lottano per cambiare in meglio le condizioni economiche, sociali, ambientali e civili dei settori popolari. Questo popolo conflittuale non potrà restare indifferente ad un risultato elettorale che ha dato una considerevole maggioranza parlamentare all’ultradestra e a Meloni. Per quel che è nelle possibilità delle aree più militanti e combattive, dovremmo cercare di evitare due errori opposti ma egualmente sterili. Il primo, quello a cui potrebbe indurre la pressione che certamente la “sinistra” istituzionale eserciterà per attivare un neo-frontismo contro l’ultradestra, cercando di nascondere le responsabilità di chi, come il PD, ha governato ininterrottamente (tranne la parentesi 5Stelle-Lega) negli ultimi dieci anni, creando le condizioni per il successo di tale destra. Ma la resistenza a questo tentativo – che non credo avrà la stessa efficacia del frontismo anti-berlusconiano, per il discredito che da allora ha investito il centrosinistra – potrebbe incentivare un atteggiamento di segno opposto ma altrettanto sbagliato: e cioè comportarsi come se un governo a trazione Meloni non sia che una variante degli ultimi governi, e di quello Draghi in particolare, e dunque ritenere che i temi di conflitto resteranno più o meno gli stessi. Ora, questa continuità ci sarà probabilmente su parecchi (ma non tutti, basti pensare al reddito di cittadinanza o la flat tax) temi economici o riguardanti guerra e militarizzazione. Ma, se è corretta l’analisi che ho tratteggiato in Giorgia Meloni e la fiamma mussoliniana (cfr. www.pierobernocchi.it)a proposito della continuità ideologica, culturale e civile di Meloni e del suo partito con il nucleo più profondo del pensiero reazionario novecentesco, ci sarà una recrudescenza o inversione di tendenza rispetto ai diritti civili e alle libertà democratiche e costituzionali. Che, conseguentemente, potrebbe provocare la discesa in campo di un’opposizione più vasta, coinvolgente anche settori e strati di popolazione magari meno sensibili al conflitto economico in senso stretto. E sarebbe un errore altrettanto dannoso di quello di un acritico “frontismo” quello di lasciare l’egemonia di nuovi soggetti potenzialmente conflittuali a quel centrosinistra che, pure su questi temi, non ha mai scelto una linea coraggiosa, incisiva e conseguente in tutti gli anni in cui ha governato.

Per evitare di infrangersi sugli “scogli” opposti, forieri di naufragi politici, bisognerebbe finalmente riuscire in un’impresa che in Italia continua a risultare improba: quella di fare coalizione, alleanze, convergenze, accettando il principio che non esiste un conflitto con il sistema dominante al quale tutti gli altri motivi di scontro si debbano subordinare. E di conseguenza, non ci sono movimenti, reti o organizzazioni che possano arrogarsi il diritto di fare da guida egemonica dell’intero fronte conflittuale. E’ un principio che a parole sembra accettato: salvo poi, nei fatti, verificare costantemente la rinascita, anche tra i nuovi movimenti o reti e organizzazioni più recenti, il ripetersi puntuale dell’auto-centratura, delle illusioni di autosufficienza, delle disponibilità di fare coalizioni solo se si realizzano sulle proprie impostazioni, in uno sgradevole modello egemonico di primazia politica. Se è pur vero che in certi momenti alcuni temi possono prevalere, nel medio periodo nessuno di essi può schiacciare gli altri: e quindi la pratica dovrebbe sempre prevedere la pariteticità delle componenti conflittuali, evitando la “reductio ad unum” degli argomenti e dei soggetti del conflitto. Visti i tanti tentativi infruttuosi del passato, non ripeterò l’appello al “se non ora quando” per tale indispensabile cambio di comportamenti. Si può però sperare che l’ampliarsi probabile dei temi di scontro con il nuovo governo, e la discesa in campo auspicabile di nuovi soggetti, possa aiutare a muoversi in  direzioni inclusiva e non egemoniche, nell’organizzazione dei conflitti e delle iniziative che ci aspettano in questo assai difficile e tempestoso autunno di lotte politiche, sindacali e sociali. E che per i COBAS riguardano in particolare i seguenti impegni.

La manifestazione regionale (con una partecipazione anche dalle altre regioni) di Bologna del 22 ottobre, contro il Passante cittadino e contro i Rigassificatori nella regione, e più in generale sui temi ambientali, energetici e climatici e anche su temi economici e sociali più vasti.

La quattro giorni (10-13 novembre) di dibattiti e confronti a Firenze per il Ventennale del Forum Sociale Europeo del 2002, che si articolerà in due giorni di seminari (noi ne organizzeremo tre) e due di plenarie, con una rilevante partecipazione di organizzazioni e reti europee.

E il 2 dicembre, le organizzazioni del sindacalismo di base (Confederazione COBAS, CUB, SGB, SICobas, Unicobas, USB, USI-Cit, Cobas Sardegna, ADL Varese) hanno proclamato lo sciopero generale nazionale, in preparazione del quale si terrà a Milano il 15 ottobre un’Assemblea nazionale. Lo sciopero è proclamato PER il rinnovo dei contratti e aumento dei salari con adeguamento al costo della vita e con recupero dell’inflazione; l’introduzione del salario minimo di 12 euro l’ora; la cancellazione degli aumenti delle tariffe dei servizi ed energia, il congelamento dei prezzi dei beni primari e dei combustibili; la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario; il blocco delle spese militari e dell’invio di armi in Ucraina; investimenti economici per scuola, sanità pubblica, trasporti, salario garantito per disoccupati e sottoccupati; un piano di edilizia residenziale pubblica che preveda anche il recupero del patrimonio pubblico in disuso; l’introduzione del reato di omicidio sul lavoro; lo stop alla controriforma della scuola e la cancellazione dell’alternanza scuola-lavoro e degli stage dei centri di formazione professionale; la difesa del diritto di sciopero e il riconoscimento a tutte le OO.SS. di base dei diritti minimi e dell’agibilità sindacale nei luoghi di lavoro; una politica energetica che utilizzi le fonti rinnovabili, evitando nucleare e rigassificatori; l’aumento delle risorse per la tutela della salute delle donne e per combattere discriminazioni, oppressione nel lavoro, nella famiglia e nella società. E CONTRO le privatizzazioni e il sistema di appalti/subappalti; l’Autonomia Differenziata che disgrega il paese e allarga le differenze sociali tra territori; la guerra e l’economia di guerra, vera sciagura umana e sociale per i popoli ed i lavoratori/trici.

Piero Bernocchi