Volevano aprire il Parlamento come una scatola di tonno: si sono trasformati loro in “tonni parlamentari”

 Dopo le batoste alle elezioni provinciali e regionali di Trento, Bolzano, Friuli Venezia Giulia e Molise e alle Comunali di giugno, il M5S ha subito una disfatta alle Regionali in Abruzzo (20% di voti rispetto al 40%  delle elezioni politiche del marzo 2018) e ancor più in quelle in Sardegna dove i voti si sono addirittura ridotti più o meno ad un quarto (l’11% rispetto al 42% di allora) mentre il centrodestra (ma sarebbe più giusto dire la destra estrema a trazione leghista) ha finanche raddoppiato i propri voti. C’è davvero da sorprendersi o lo si poteva prevedere – come hanno fatto i COBAS – fin dalla costituzione di un governo ad evidentissima egemonia salviniana?

Qualche giorno fa Federico Pizzarotti, sindaco di Parma e “grillino” della prima ora, espulso dai 5 Stelle perché poneva seri problemi politici, ha fatto un lungo, seppur parziale, elenco delle giravolte e dei rinnegamenti, una volta giunti al governo, di tesi e posizioni fino a ieri sostenute a spada tratta dal suo ex-partito. Riprendo qui tale elenco, con qualche mia integrazione. 1) Tutti i dibattiti e gli incontri politici del M5S dovevano avvenire in streaming; e ora di streaming non si parla più e tutto avviene nelle segrete stanze, come per i vecchi partiti tanto disprezzati. 2) “Mai con gli altri partiti” era dogma assoluto e ora il M5S è strettamente alleato di un partito fascistoide, il più vecchio d’Italia e già stato al governo tre volte. 3) Andare in TV era vietato e chi disobbediva veniva espulso: oggi non c’è “buco” di talk show in cui non si ficchi un 5 Stelle. 4) Si diceva “fuori i partiti dalla RAI” e ora il M5S si è spartito con la Lega non solo ogni poltrona ma pure gli strapuntini. 5) L’euro e l’Unione Europea erano considerati fonti di ogni male e per salvare l’Italia bisognava uscirne, ed oggi “hic manebimus optime” nell’uno e nell’altra senza obiezioni. 6) Le alleanze europee dovevano esser scelte dalla “base” e invece, in assenza persino della più elementare discussione nel gruppo parlamentare, ci si è alleati prima con l’ultradestra di Farage e poi, dopo la Brexit, il M5S ha tentato con i Verdi, con i Liberali e infine, dopo un catastrofico incontro con un pazzoide fascistone presunto leader dei “gilet jaunes”, si è raccattata una armata Brancaleone di partitini polacchi, croati, finlandesi e greci tra loro agli antipodi politicamente e ideologicamente. 7) Renzi e il suo governo vennero considerati “golpisti” perché non eletti dai cittadini (come se nella repubblica parlamentare italiana i cittadini avessero mai eletto un governo o un presidente del Consiglio) e oggi i 5 Stelle governano insieme ad un partito presentatosi alle elezioni in uno schieramento opposto, con un presidente del Consiglio manco parlamentare. 8) Il M5S aveva dichiarato guerra al TAP e all’Ilva e invece oggi ha dato via libera ad entrambi. 9) Si diceva “basta con le spese di guerra, con le basi militari e con gli F35”: ma F35 e basi non sono stati neanche sfiorati e le spese militari sono rimaste quelle che erano. 10) Infine, anche l’ultimo baluardo del pensiero a 5 Stelle – i politici devono sottostare alle leggi senza alcun privilegio e un ministro indagato si deve dimettere immediatamente – è crollato miseramente: Salvini non verrà processato, avrà la sua immunità o, più precisamente, la sua impunità giuridica.

Elenco molto lungo di rinnegamenti, che in altri tempi sarebbe bastato per spazzar via qualsiasi partito, e per giunta parziale, perché ci si potrebbero aggiungere le leggi Fornero, Jobs Act e “buona scuola” che dovevano essere cancellate mentre sono state solo sfiorate, i condoni fiscali che dovevano finire per sempre o il cosiddetto reddito di cittadinanza, sbandierato come universale e incondizionato e invece trasformato in una misura clientelare che premierà una minoranza forse più  di maneggioni che di veri poveri; o la cancellazione in arrivo anche del limite dei due mandati per gli eletti 5 Stelle e la strutturazione gerarchica da “partito normale”. Però almeno il decimo punto elencato merita qualche parola in più. Non staremo qui a ricordare la lunga sequela di prese di posizione giustizialiste che in questi anni hanno gonfiato a dismisura i consensi grillo-casaleggini: essa è ben nota. E’ più utile sottolineare le modalità decisionali che hanno portato a scegliere l’immunità per Salvini, perché esse mettono in ulteriore evidenza quali siano le concezioni della democrazia che la Casaleggio Associati ha imposto ai propri subordinati e vorrebbe imporre all’intero Paese. La leadership ha affidato strumentalmente la decisione alla mitica, ma tecnicamente ridicola oltre che facilmente manipolabile, piattaforma Rousseau, delegando il potere decisionale, dopo aver orientato in tutti i modi il voto, a circa 30 mila iscritti/e (tale è la maggioranza del 59%, su circa 50 mila votanti, che si sarebbe pronunciati per il salvataggio di Salvini). Ammesso che i 30 mila voti corrispondano davvero ad altrettante persone, esse, oltre ad aver votato senza sapere nulla delle argomentazioni dei giudici a carico di Salvini, rappresentano a mala pena lo 0.3% dei voti ricevuti dai Cinque Stelle nelle elezioni di marzo (quasi 11 milioni alla Camera). E, ciò malgrado, hanno avuto il compito di rappresentarli tutti/e.

Questa sarebbe la democrazia diretta di cui da un decennio blaterano Grillo, Casaleggio e i loro miracolati dipendenti? Al confronto, anche la più scalcinata delle democrazie parlamentari ci fa miglior figura! Tanto più che l’intero meccanismo è gestito da un monarca assoluto, proprietario dell’intero partito, non eletto né votato da nessuno e sulle cui decisioni né i parlamentari né tanto meno iscritti/e o elettori/trici hanno alcuna possibilità di intervenire. Il regno a Davide Casaleggio è stato trasmesso in eredità dal padre Gianroberto, il diabolico e geniale inventore di tale macchina di soldi e di potere che milioni di simpatizzanti ed elettori hanno trovato normale che fosse proprietà assoluta di un imprenditore-monarca che continua a far soldi con un prodotto oltretutto scadente come Rousseau, anche tassando i parlamentari – vedi la denuncia della senatrice M5S Elena Fattori – per “più di un milione di euro l’anno; e ad oggi non è dato di avere né una fattura o una ricevuta del versamento né un rendiconto di come sono stati impiegati i soldi per una piattaforma che dovrebbe funzionare come un orologio svizzero e invece non riesco neanche a connettermi”.

Fummo facili profeti come COBAS quando pronosticammo che il partito della Casaleggio Associati sarebbe stato il “cavallo di Troia” della Lega che, una volta portata in carrozza al governo, avrebbe dominato la scena e vampirizzato i 5 Stelle, sottraendogli mese dopo mese voti e consensi. E a tale previsione aggiungevo, attualizzando un aforisma tratto dai film di Sergio Leone, che quando un politico armato di un’ideologia (Salvini) affronta un politico senza ideologia (Di Maio) il secondo fa sempre una brutta fine. Le vicende degli ultimi mesi hanno confermato inconfutabilmente che non solo il M5S non ha alcuna ideologia di riferimento, ma che non c’è alcun principio, tesi, elemento programmatico che il gruppo dirigente a 5 Stelle non sia disposto a rinnegare. E non solo per la tenace volontà di conservare un potere insperato che ha consentito loro di occupare ogni posto rilevante, ma ancor più perché tutto il successo sbalorditivo raggiunto non era basato su princìpi irrinunciabili e radicati ma su una miriade di algoritmi sociali, analizzati dalla luciferina macchina telematica e mediatica costruita da Casaleggio senior, e diffusi dal Grande Imbonitore Beppe Grillo sul palcoscenico televisivo e di piazza e dai micidiali social nella società diffusa e dispersa. Per anni la Casaleggio Associati, incrociando dati e producendo specifici algoritmi, ha testato gli umori della “gente” ed ha amplificato, ingigantito e diffuso ovunque i temi e i bersagli da aggredire, che scaturivano analizzando in Rete la rabbia, l’ostilità e i malumori verso il quadro politico, economico e sociale dominante, e l’avversione contro la politica politicante, miscelando obiettivi persino opposti pur di raccogliere il consenso a 360 gradi.

I vitalizi e le auto blù, gli stipendi dei parlamentari e la corruzione diffusa, i migranti “irregolari” e gli “zingari”, il conflitto di interessi di Berlusconi e il suo malaffare, le leggi di Renzi e la criminalità di strada, l’Europa delle banche e i banchieri strozzini, le lobbies ebraiche e i complotti delle multinazionali, i vaccini e l’inquinamento, le Grandi opere e l’ambiente, i sindacati corrotti e le scie chimiche, la Mafia che non sta in Sicilia ma in Parlamento e le ONG che organizzano i “taxi del mare” in combutta con le mafie nordafricane: non c’è stato tema che raggiungesse, nell’universo della Rete e dei social media, i livelli di trending topic, che non sia stato usato, mixato con tutti gli altri e ri-offerto al “consumo” popolare, spesso difendendo contemporaneamente posizioni opposte. E il tutto sintetizzato in quel “non siamo né di destra né di sinistra, ma oltre”, o nel “non siamo antifascisti perché il fascismo è morto”. Dunque, non deve meravigliare il continuo rinnegamento di precedenti posizioni, programmi o tesi elettorali, proprio perché basati non su profondi convincimenti ma su un inseguimento e amplificazione del senso comune: ad un punto tale che è difficile persino usare il termine “tradimento” che si spende per l’abbandono di profonde e radicate convinzioni politico-sociali, come ad esempio è avvenuto per il drastico cambio di campo della grande maggioranza delle sinistre comuniste e socialiste nell’ultimo trentennio, ma che appare  sprecato di fronte a gente che ha usato teorie o programmi solo come “taxi” per arrivare a Palazzo, e che è disposta a rinnovare totalmente i propri “veicoli” pur di restarci e affermarsi come casta degli anti-casta. Insomma, volevano aprire il Parlamento come una scatola di tonno e invece si sono trasformati loro in “tonni parlamentari”.

Mentre la guerra contro i migranti e una politica securitaria di stampo fascistoide hanno garantito alla Lega, nel giro di pochi mesi, un vasto consenso popolare, il raddoppio nei sondaggi delle preferenze di voto e i successi elettorali alle Regionali e alle Provinciali, il gigantesco cocktail dei più antitetici e contraddittori algoritmi sociali, che aveva funzionato fin quando i 5 Stelle erano all’opposizione, si sta rivelando, come era prevedibile, catastrofico una volta che, andati al governo, i dirigenti a 5 Stelle devono decidere e scegliere, per giunta segnati da un’incompetenza enorme in merito al funzionamento dell’apparato statale e della società reale (ben diversa da quella virtuale della Rete), che un’arroganza e una cialtroneria sconfinata aggravano ulteriormente. Davanti a tutto questo potremmo anche chiamare d’ora in poi Salvini mister Immunità. Ma è evidente che l’uso del salvacondotto parlamentare non gli procurerà alcun danno politico. In verità il ministro in divisa avrebbe potuto fare la vittima sottoponendosi al processo, ma ha preferito, alla vigilia delle elezioni europee, tenersi le mani libere dalle incombenze processuali, peraltro dai risvolti non tutti prevedibili, e mettere in ulteriore difficoltà i 5 Stelle che hanno per l’ennesima volta abbandonato un loro fondamentale cavallo di battaglia. In molti si domandano quando la Lega deciderà di riscuotere il “malloppo” accumulato in questi mesi, che le garantirebbe il raddoppio del gruppo parlamentare e la presidenza del Consiglio. Ma una rottura del governo implicherebbe il ritorno  all’”antico”, all’alleanza con lo zombesco Berlusconi, alla perdita di quell’aureola di “anti-sistema” e “anti-establishment” che Salvini ha avuto in dote (la Lega era già stata al governo tre volte) paradossalmente proprio dai Cinque Stelle; nonché il rischio di trovarsi con margini parlamentari assai ristretti di fronte ad un’opposizione del M5S e del centrosinistra che cercherà di usare i voti regionali per rianimarsi. Dunque, è molto probabile che Salvini “puntellerà” i 5Stelle e, a meno del precipitare della situazione economica, non abbandonerà la politica andreottiana dei “due forni”, continuando a succhiare voti e consensi sia al M5S sia alla oramai esausta Forza Italia, entrambi costretti dalle loro debolezze a sottostare al dominio della Lega sulla politica nazionale.

Piero Bernocchi

25 febbraio 2019