Fummo ben facili profeti quando a giugno pronosticammo che il governo Salvini-Di Maio appena nato non avrebbe realizzato neanche un decimo delle mirabolanti promesse – pura e clamorosa truffa elettorale che ha abbindolato decine di milioni di italiani/e – di cambiamento economico-sociale, in Italia e in Europa, a favore dei settori più deboli e indifesi della società, e che avrebbe invece costruito tutte le proprie fortune (con la Lega a incamerarne i benefici) sulla guerra spietata e vigliacca contro i migranti, incentivando i sentimenti popolari più forcaioli sull’”ordine pubblico” e sulla insicurezza percepita dai cittadini/e rispetto a crimini e violenze ingigantiti ad arte negli ultimi anni dai due partiti giunti al governo e dall’apparato mass-mediatico che ci ha sguazzato senza sosta distorcendo la realtà per innalzare l’”audience” quotidiano.

La sfida all’Unione Europea, la strombazzata uscita dall’euro e dalla UE, i “me ne frego” rivolti alla BCE e alla Commissione Europea si sono dissolti come neve al sole. Affidando le mediazioni agli uomini di Mattarella – i Tria, i Conte e i Moavero – Lega e 5Stelle sono passati da una resa all’altra, accettando infine uno “sforamento” del 2%, assai più basso di quello che lo stesso Renzi aveva annunciato (2,9%). Le forze di governo avevano spergiurato di diminuire drasticamente le spese militari per stornarle verso spese sociali, ma non c’è stata alcuna diminuzione di esse e, anzi, persino il programma folle di acquisto degli aerei da combattimento F35 è rimasto immutato. Le inaccettabili leggi del governo Renzi che dovevano essere spazzate via sono rimaste intatte al loro posto. Le modifiche al Jobs Act, del tutto secondarie rispetto all’impianto generale, hanno finito, non dando incentivi a chi assume stabilmente, addirittura per aggravare la situazione, diminuendo sia le assunzioni stabili sia quelle precarie. Il reddito di cittadinanza sta annegando in una palude grottesca di sottosalari da elemosina, distribuiti peraltro in modo clientelare solo ad alcuni, accompagnati da lavoro coatto gratuito, configurando un pastrocchio da “reddito di sudditanza” lontano anni-luce da quel reddito universale incondizionato auspicato per decenni dalla sinistra anticapitalista e antagonista e dai movimenti dei precari. In quanto alla flat tax leghista è – qui per fortuna – sparita senza lasciar tracce: anzi, il micidiale gravame fiscale è aumentato dello 0.5% raggiungendo la soffocante quota del 43,5%. In quanto alla legge Fornero, la spocchiosa ex-ministra torinese può dormire sonni tranquilli, la sua creatura resterà intoccata, visto che la montagna della favoleggiata quota 100 sta producendo il topolino di una fuoriuscita dei sessantaduenni con 38 anni di contributi solo a patto di rinunciare a circa il 20% della propria pensione, onere pesantissimo soprattutto per coloro per i quali la quota contributiva prevarrà su quella retributiva, quasi dimezzando l’ultimo stipendio lavorativo.

C’è poi il lungo capitolo della “fuffa” elettoralistica che ha fatto le fortune quasi ovunque dei Five Stars, giocate in gran parte sulle questioni ambientali e sull’ostilità, dichiarata e strombazzata, alle Grandi Opere. Il parco ecologico dell’Ilva ha lasciato il posto al riciclo della velenosità dell’impianto, girato a chi dalla Germania non si preoccuperà certo della salute dei tarantini, con grande scorno di quelle centinaia di migliaia di pugliesi che avevano preso sul serio le fanfaronate del Che Guevara de’ noantri e del Giggino “Balconaro” Di Maio. La stessa sorte sta toccando al TAP, ripartito alla grande, e al Terzo Valico. Resiste solo il movimento No-TAV la cui grande forza, anche recentemente ribadita, impedisce, almeno per ora, l’ennesimo tradimento dei sudditi della Casaleggio Associati, che però non mi sentirei di escludere del tutto in un futuro nemmeno tanto lontano. Nel frattempo, la cialtroneria assoluta della compagine governativa, la sua approssimazione, le sue minacce a vanvera all’Unione Europea e alla BCE, e una Legge di Stabilità pagliaccesca senza un qualche filo conduttore e ridotta per lo più ad un insieme di regalie clientelari a favore di conventicole parassitarie, ha finito per allontanare non solo i grandi investitori ma soprattutto i piccoli risparmiatori italiani, ingigantendo l’onere dei titoli di Stato e rischiando seriamente di riportare l’Italia allo stato di crisi generalizzata del 2011.

La carta vincente (per ora) della guerra ai migranti e della cultura poliziesca e repressiva

Questo lunghissimo elenco di balordaggini, dilettantismi, arroganze, accompagnato da una occupazione dei poteri ancora più accentuata che con i precedenti governi, avrebbe dovuto far tracollare in poco tempo la buffonesca diarchia Salvini-Di Maio se – come avevamo altrettanto facilmente previsto – il governo, ma in primissimo luogo la Lega e Salvini, non avessero avuto a disposizione due carte formidabili per attenuare, se non addirittura sormontare, tutte le altre clamorose defaillances economico-sociali: la guerra ai migranti e la presunta insicurezza nelle città e nelle case percepita, contro ogni logica e dato concreto, dalla maggioranza degli italiani. E’ in gran parte su questi temi che il governo (ma in realtà è la Lega ad avvalersene, avendo raddoppiato nei sondaggi il risultato elettorale solo grazie ad essi) sta mantenendo il consenso popolare maggioritario, dandosi un volto apertamente reazionario, razzista, xenofobo, militaresco e da regime di polizia che ha forti caratteri fascistoidi, senza bisogno di riproporre  pari pari le strade, oggi impercorribili in quelle forme, battute dal fascismo storico (pur esso sovente buffonesco e cialtrone) e men che meno dal nazismo, il cui tremendo orrore non venne mai attenuato o diluito dalla cialtroneria e dalla buffoneria.

Il vero, grande cambiamento il governo Lega-5Stelle lo ha provocato nella cultura e nei comportamenti dominanti nella società italiana, sdoganando tutto il ciarpame razzista e fascistoide che certo non rappresenta una novità nel comportamento e nei pregiudizi di tanta parte della popolazione italica ma che mai, dopo la caduta del fascismo, aveva ricevuto tanti incoraggiamenti e tanto sostegno nel manifestarsi liberamente e impunemente. Nei dibattiti sul tema a cui partecipo di questi tempi, racconto spesso che nella mia infanzia, trascorsa in parte a Torino, ricordo di aver verificato tra la gente comune, nei bar, ai mercati, sugli autobus, un analogo razzismo nei confronti dei “terroni” trasferitisi a Torino per lavorare alla Fiat e nelle fabbriche dell’indotto. Malgrado si trattasse di bianchi, per la quasi totalità cattolici, di lingua italiana, seppur venata da diversi dialetti, l’avversione, l’ostilità e la diffidenza verso di essi non furono mediamente molto diversi da quelle attuali che circondano neri, magrebini, islamici ecc. C’era però allora una differenza sostanziale, che consentì di assorbire piuttosto pacificamente quelle ostilità, quelle incomprensioni e quei pregiudizi: tutte le principali forze politiche e sindacali reprimevano culturalmente ogni deviazione razzista o discriminatoria con molta forza, al punto da far sentire un “diverso” colui che si fosse attardato nei meandri del razzismo regionalistico. Esattamente il contrario di quel che accade oggi, ove tali pulsioni sono invece giustificate ed esaltate soprattutto dai leghisti, che hanno assorbito una moltitudine di fascisti doc e le loro movenze, abitudini, parole d’ordine e linguaggi, al punto che non si può dire che esista più una benché minima opposizione dell’estremismo nero – da Casa Pound a Forza Nuova –  a questo governo; e ingigantendo nel giro di pochi mesi il proprio consenso, raddoppiato rispetto all’ultimo risultato elettorale, con i respingimenti, le esibizioni di forza rispetto a poveri disgraziati lasciti a patire per settimane a pochi passi dalla salvezza, accolti da spietate derisioni sulla “fine della pacchia”.

E un processo analogo sta avvenendo sui temi della sicurezza e delle relazioni internazionali tra la Lega e forze apertamente fasciste, nazistoidi e violente. Basti guardare il successo popolare del decreto “in-sicurezza” Salvini, malgrado balzi agli occhi come esso non possa che ingigantire il “vagabondaggio” di decine di migliaia di migranti, esposti a tutti i ricatti e pressioni della criminalità organizzata e alla distruttiva necessità di delinquere per sopravvivere. Simile consenso lo sta avendo la legge per l’armamento facile e per l’uccisione autorizzata e gli appelli all’autodifesa assassina, malgrado tutti i dati statistici ci parlino di un numero di omicidi nettamente inferiore rispetto alla grande maggioranza dei paesi sviluppati ma anche in confronto all’Italia di venti o trenta anni fa; mentre anche tutti gli altri reati, dalle rapine ai furti, sono diminuiti vistosamente , anno dopo anno, nel nuovo secolo. E poi c’è l’apoteosi delle divise “sbirresche” che Salvini indossa quotidianamente e a rotazione per far coincidere il suo ruolo con quello del repressore armato e militarizzato, finendo per far apparire Polizia e guardie carcerarie una sorta di milizie private leghiste; il suo continuo ricorso alle frasi celebri di Mussolini, al truce linguaggio fascista d’antan, fino al delirio della pagliaccesca accoglienza in pompa magna del latitante Cesare Battisti, con quei “marcirà in galera” o “spero che non mi arrivi a portata di mano” degni dell’ultimo nazistello di periferia e non certo di un ministro degli Interni.

Anche se in queste esibizioni di forza e di brutalità fascistoide non manca mai almeno un lato grottesco e cialtrone, né la bufala, l’inganno, la menzogna aperta e sfrontata. Cosicché. per esaltare e rivendicare la sua stretta alleanza non solo con i reazionari fascistoidi europei – da Le Pen ad Orban, dall’AFL a Kaczinsky – ma anche con quel nazistone d’Oltre oceano che è il tremendo Bolsonaro, Salvini (con la cooperazione dell’insulso Bonafede) è stato capace di ingigantire un “piccolo delinquente” come Battisti – la definizione è del fratello che pure lo difende e lo ama parecchio – avvicinatosi in carcere al terrorismo para-politico, fino al punto da presentarlo come uno dei massimi esponenti della lotta armata in Italia; e di propalare la favoletta di un Bolsonaro che, per saldare l’alleanza con la Lega e con il governo italiano, gli avrebbe consegnato “come dono” il Battisti stesso. Il tutto mentre in realtà Bolsonaro e il Brasile non c’entrano nulla con la cattura e l’estradizione di Battisti, il cui vero responsabile è il governo della Bolivia (paese ove Battisti si era rifugiato probabilmente già al momento dell’elezione di Bolsonaro), e in particolare Evo Morales, le cui decisioni in merito hanno suscitato molte illazioni, e non tutte onorevoli.

La grande risposta del 10 novembre e l’alleanza “indivisibile”. Metodologie per coalizioni durature.

Comunque sia, il dato di fatto al momento è che i veri punti di forza di questo governo, e in particolare della Lega, sono proprio quelli che a noi più ripugnano: il razzismo, la guerra ai migranti, la xenofobia, il culto delle armi, della repressione e del regime di polizia, il violentismo fisico e verbale, la fabbrica dell’odio e della paura in attività permanente. Non è un caso dunque che la prima grande reazione e risposta a questo governo sia avvenuta proprio su tali terreni. Il 10 novembre 2018 una fiumana ininterrotta di “indivisibili”, almeno centomila persone, ha riempito, come non accadeva da molti anni, Piazza S. Giovanni, per protestare contro le politiche governative, contro il decreto “in-sicurezza” di Salvini e contro l’odio razzista nei confronti dei più deboli e indifesi che vengono in Italia e in Europa per cercare un po’ di pace e di giustizia sociale.  Molto ha contato, nel successo oltre le più rosee aspettative, l’alleanza includente e rispettosa di tutte le componenti che si è realizzata tra forze sociali, sindacali e politiche e che ha favorito l’enorme adesione (oltre 500 associazioni) di strutture che accolgono i migranti, di decine di comunità di immigrati, di movimenti per l’abitare e occupanti di case, di centri sociali, COBAS, partiti, reti nazionali e comitati locali. Ma, al di là delle forze organizzatrici, circa i due terzi dei partecipanti sono venuti in forma autonoma rispetto alle strutture consolidate. Si è, cioè, manifestata in piazza l’avanguardia di una larga opposizione, seppur non maggioritaria nel paese al momento, contro il decreto Salvini e contro le politiche reazionarie, razziste e ultra-autoritarie del governo Lega-5Stelle, fomentatrici di odio verso i più deboli, che ha detto NO all’esclusione sociale, ai respingimenti, alle espulsioni, agli sgomberi, al disegno di legge Pillon, alla violenza sulle donne, all’omofobia. Abbiamo raccolto una parte dell’indignazione di milioni di persone – certo non la maggioranza degli italiani/e, certo non i sentimenti di un “popolaccio” che invece di lottare contro i “primi” della società vuole calpestare gli “ultimi” illudendosi di ritrovare così la propria dignità e un ruolo sociale – che non trovano più riferimenti nei partiti e nei sindacati “storici” e men che meno in un PD che, dopo aver creato tutte le condizioni per l’ascesa di un governo così reazionario, continua a dilaniarsi in una grottesca lotta intestina. E ci siamo riusciti, almeno per una giornata, non solo per i temi e gli obiettivi che abbiamo indicato ma anche, e forse addirittura soprattutto, per il metodo, per una volta decisamente positivo, che abbiamo adottato.

Guardando al recente passato, balza agli occhi come, pur in presenza di una vasta gamma di movimenti, di reti, di organizzazioni, di sindacati di base e di comitati, collettivi e associazioni che in questi anni si sono battuti contro il liberismo e il razzismo, per giustizia sociale ed economica, per i Beni comuni, la difesa ambientale, il lavoro stabile e adeguatamente retribuito, non si è mai riusciti a stabilizzare alleanze e coalizioni durature, in grado di sintetizzare e collegare obiettivi e tematiche e di costituire un’alternativa credibile generale alle politiche dominanti. Mentre in altri paesi europei – dove pure la conflittualità tra le forze alternative era stata elevata per decenni –  si è alfine riusciti a dare vita a coalizioni che hanno occupato un importante spazio politico e istituzionale, in Italia nessuna coalizione o alleanza politico-sociale-sindacale antiliberista e di base è riuscita a durare, ad ottenere risultati rilevanti e ad avere un ruolo significativo anche nelle istituzioni nazionali e locali. Nella grande maggioranza dei casi tali alleanze stabili non sono state impedite da profonde divergenze strategiche o di programma, ma per lo più da questioni di metodo, dalle “regole del gioco”, dalle modalità di funzionamento delle alleanze stesse. Tali regole dovrebbero, a nostro parere, tenere massimamente conto delle seguenti considerazioni. 1) Nel conflitto con un capitalismo dalle mille facce è impensabile ritenere possibile una “reductio ad unum” della opposizione. Non ci sono più (anzi, a mio avviso non ci sono mai state nei fatti, al di là delle ideologie) classi o ceti-guida che possano imporre subordinazione a tutti gli altri settori sociali “senza potere e senza proprietà”; o partiti piglia-tutto con una schiera di possibili alleati da usare finché sottoscrivono la volontà del partito-padrone. 2) La costituzione di una alleanza/coalizione, che usi magari una sigla riconoscibile, non implica affatto la sparizione delle sigle, delle bandiere, delle identità delle forze componenti la coalizione. Anzi: la massima valorizzazione delle rispettive piattaforme e identità è il modo migliore per arricchire la coalizione. Chi dice: “togliete tutte le bandiere” (e le identità), in genere vuole imporre una nuova bandiera (la propria) e una identità dominante (sempre la propria). 3) Costituire una coalizione non significa imporre unanimità permanente e assoluta compattezza decisionale. Si può stare insieme su tante cose importanti ma trovarsi in disaccordo su alcune scelte o decisioni. In questi casi, la soluzione migliore è quella di non fare uso della sigla comune ma di firmare le iniziative con le componenti della coalizione che sono d’accordo, senza per questo rompere con gli altri e senza dover essere sottoposti a boicottaggio da chi non condivide l’iniziativa. Ci si separa in quell’occasione, non ci si pesta i piedi ma poi si riparte insieme. 4) Si può affermare all’interno di un’alleanza una leadership di “volti” più popolari di altri, ma va escluso che una coalizione possa davvero esprimersi con una sola faccia e una sola voce in permanenza. Sta alle leadership in formazione capire la necessità di esprimersi in alcune occasioni con una sola voce e in altre con una pluralità che non sia però cacofonica. 5) In un alleanza, non è pensabile votare con maggioranze del 51% ma si può e si deve decidere solo con larghissimo consenso.

Mi pare che il successo oltre ogni più rosea aspettativa del 10 novembre sia stato dovuto anche all’applicazione di buona parte di queste “regole del gioco”, con pazienza e senza tentativi egemonici (abbiamo addirittura annullato una conferenza-stampa pur di non creare inutili e dannose conflittualità per la scelta dei nomi da proporre per essa; e lo stesso abbiamo fatto per gli interventi finali al comizio di P. S. Giovanni, evitando di dare la parola ai rappresentanti delle forze più significative e consistenti). Però questo è stato solo il primo passo: bisognerà vedere ora se la gravità delle attuali politiche governative e l’unità sui contenuti fin qui realizzata saranno sufficienti per superare quella sindrome dell’egemonismo e/o della reductio ad unum che ha sempre causato negli ultimi anni la disgregazione delle coalizioni create. Un passaggio cruciale sarà quello dell’Assemblea del 10 febbraio a Macerata dove la coalizione “indivisibile” dovrà dimostrare di essere veramente tale, dopo che nella settimana precedente (dal 3 al 9 febbraio) proverà a mettere in campo una miriade di mobilitazioni locali che riprendano il filo del discorso avviato il 10 novembre. A Macerata dovremo innanzitutto verificare se crediamo davvero ad una nuova metodologia dei rapporti di coalizione, se non ci faremo fuorviare da impulsi frettolosi a stringere le fila di quanto abbiamo avviato, magari sottovalutando il fatto che le 500 organizzazioni e collettivi che hanno supportato il 10 novembre non per questo ci hanno dato (intendo: alle forze più consistenti numericamente e per presenza sul territorio) una delega in bianco per imporre sigle o strutture vincolanti quando il percorso contro il razzismo, il decreto Salvini e un regime securitario, poliziesco e reazionario è ancora ai primi passi e non ha coinvolto ancora varie forze disponibili almeno sulla carta. In tal senso crediamo che a Macerata si possa avviare, ma non già concludere, la costituzione di una sorta di Forum – sul modello di quelli nazionali e mondiali del primo decennio del XXI secolo – di cui si è parlato nell’ultima assemblea del 16 dicembre a Roma, un Forum certamente antirazzista ma anche contro l’esclusione sociale e la deriva poliziesca e ultra-securitaria della Lega e del governo, dal decreto Salvini alla legge sull’”autodifesa armata”. Un atto conclusivo in tal senso, a nostro giudizio, dovrebbe avvenire dopo un ulteriore, ampio tentativo di inclusione e di allargamento della coalizione, che potrebbe venir sanzionato da quel Meeting di due giorni, di libero e approfondito confronto, di cui pure si è parlato nell’ultima Assemblea, da realizzare possibilmente prima dell’estate.

L’anticapitalismo e le coalizioni sono Arcobaleno, non monocolori

Ma c’é un altro compito, altrettanto importante, che l’Assemblea di Macerata dovrebbe assumersi: e riguarda il rispetto del primo punto di quella sorta di “penta-logo della Buona Coalizione” che ho presentato nelle righe precedenti. Bisogna tutti/e convincerci che non esiste un tema-chiave che tutti gli altri riassume e ingloba, non c’è una unica leva per sollevare il mondo e cambiarlo. Lo abbiamo capito definitivamente nell’ultimo ventennio, anche e soprattutto alla luce delle esperienze migliori del movimento alter-mondialista, dei Forum mondiali e continentali: noi che pure, come esperienza personale e collettiva di una generazione sessantottina e di un collettivo sindacal-politico-culturale come i COBAS, ritenevamo che il conflitto Capitale-Lavoro potesse includere e riassorbire tutti gli altri in chiave anticapitalista. In realtà, nell’antagonismo alla società dominata dal Capitale e dalla Mercificazione globale, non esiste un solo colore dominante, il Rosso, il conflitto del marxismo tradizionale e del comunismo novecentesco, ma un Arcobaleno di colori, cioè un intreccio di conflitti e di antagonismi che devono imparare a conoscersi, a relazionarsi, a integrarsi, a collaborare, senza gerarchie di temi, di forze organizzate, di contenuti prioritari.

In questo senso, il movimento che ha fatto il suo esordio il 10 novembre deve provare a stabilire, fin dall’Assemblea di Macerata, una interrelazione proficua e aperta almeno con gli altri due movimenti che in questi ultimi mesi, di fronte alle barbarie del governo Salvini-Di Maio, si sono rafforzati e si preparano a segnare un ulteriore salto di qualità nel loro percorso: il movimento ambientalista e contro le Grandi Opere (n.b. anche se l’aggettivo mi pare inadeguato e fuorviante, perché non è la grandezza delle opere a suscitare la diffusa ostilità, ma la loro inutilità e dannosità, che varrebbe anche se le loro dimensioni fossero più ridotte; magari lo Stato mettesse in cantiere le tante Grandi opere davvero utili per l’Italia, quelle, anzi, sempre più necessarie e indispensabili!) inutili e dannose; e il movimento femminista rilanciato dalla coalizione di Non Una Di Meno (NUDM). Per quel che riguarda la prima coalizione, essa ha dato ottima prova di sé anche negli ultimi tempi soprattutto con le manifestazioni No TAV a Torino, che ne hanno riconfermato la vitalità e l’estensione; e si prepara a mettere in campo molte decine di migliaia di persone il 23 marzo a Roma, in quella che si prospetta come una grandissima manifestazione nazionale. In quanto COBAS noi siamo pienamente interni e co-protagonisti di quei movimenti e di quella coalizione: ma ciò che auspichiamo non è solo la presenza significativa il 23 marzo almeno delle principali forze che hanno promosso il 10 novembre, ma pure un fecondo tentativo di dialogo che ci porti magari ad ipotizzare un Meeting a maggio-giugno che allarghi i confini di quello di cui abbiamo discusso nell’Assemblea ultima dell’alleanza “indivisibile”, trasformandolo in un Meeting della Conflittualità contro questo governo e le sue politiche reazionarie, che ci consenta di riproporre e migliorare le metodiche dei Forum mondiali, permettendo la miglior conoscenza reciproca, un dialogo profondo e una programmazione congiunta delle diverse iniziative che ne potenzi l’efficacia e la sinergia collettive. In tale direzione, sarebbe ottimale trovare un’intesa, pur rispettandone il desiderio di forte autonomia, anche con il movimento delle donne, che favorisse un miglior dialogo trasversale e un reciproco riconoscimento che vada oltre la semplice e epidermica solidarietà generale. Anche la partecipazione di ampi settori degli altri movimenti e coalizioni alla giornata di lotta dell’8 marzo prossimo – giornata nella quale i COBAS, raccogliendo l’appello di NUDM, convocheranno lo sciopero generale – sarebbe il miglior viatico per tentare un incontro approfondito nel Meeting della Conflittualità già citato, che potrebbe essere un tassello rilevante di una nuova metodologia per consentire alle coalizione, alle alleanze e ai movimenti di intersecarsi e stabilizzare efficacemente le reciproche relazioni nel conflitto contro il liberismo, il razzismo, l’autoritarismo poliziesco e fascistoide che caratterizzano, anche più dei precedenti, l’attuale governo.

Piero Bernocchi
17 gennaio 2019