Non era per nulla facile scioperare – data la soffocante situazione pandemica – nella Scuola e nel Trasporto pubblico locale, e ancor meno portare in piazza in 67 città, di cui tante in “zona rossa”, più di 10 mila persone, nella giornata di protesta promossa dai COBAS, da Priorità alla scuola e dal Coordinamento nazionale precari e sostenuta anche dalla Società della Cura e dal Forum dei movimenti per l’Acqua: ma ci siamo riusciti! E, oltre alle piazze, è andato ben meglio del prevedibile anche lo sciopero, pur se al momento è difficile conteggiare gli scioperanti della DAD. E’ la dimostrazione che fummo facili profeti quando all’avvento di Draghi, presentato come risolutore dei drammi sanitari ed economici non risolti dal governo Conte-bis, prevedemmo che a breve ci saremmo ritrovati le stesse precarietà, inefficienze e disorganizzazioni del precedente governo. Ciò che ha alimentato il nostro sciopero e le manifestazioni con la presenza di tanti lavoratori/trici, genitori, studenti, è il fatto che nessun cambiamento di rotta significativo si è visto. Sul fronte della pandemia, la sconcertante gestione della vicenda AstraZeneca ha frenato le vaccinazioni e diffuso ulteriori paure; e, insieme alle dichiarazioni che anche i vaccinati dovranno effettuare la quarantena nel caso di contatti con un “positivo” e che “non c’è sicurezza di una protezione completa rispetto alle possibili varianti del virus”, ha confermato che la vaccinazione non cancellerà la pandemia nel giro di due o tre mesi. Il che dovrebbe provocare un impegno massiccio e urgente, che non c’è, intanto per sostenere  i settori economicamente più colpiti, quelli della microimpresa, del piccolo lavoro autonomo, dell’artigianato, dello sport e dello spettacolo, del turismo e della ristorazione. E altrettanto urgente è un intervento massiccio nei tre settori-chiave della vita sociale in questa fase, scuola, sanità e trasporti, ove invece non si vedono segnali di impegni rapidi e significativi.

Particolarmente impressionante – ed è stato il motivo ricorrente delle manifestazioni odierne – è l’inerzia per quel che riguarda le scuole, chiudendo le quali, anche laddove i contagi non erano aumentati, si è di nuovo scelto la via più facile per le strutture amministrative, ma la più deleteria per studenti e famiglie, abbandonati al purgatorio della DAD. Proprio nella scuola si misura la massima distanza tra le parole e i fatti del governo Draghi, che ha imposto le chiusure sostenendo che “non c’erano alternative”. Ma, fermo restando che luoghi sicuri al 100% non ne esistono, comunque le scuole, con le protezioni possibili, con docenti ed Ata vaccinati, tamponi periodici per gli studenti, personale sanitario a disposizione, efficaci distanziamenti ecc. possono essere comunque luoghi più sicuri di tante fabbriche e uffici, o dei bus ridotti all’osso o dei supermercati, soprattutto per chi ci lavora. Insomma, chiudere le scuole non può essere presentato come un obbligo quando tutte le principali attività produttive sono aperte: si tratta invece di una scelta distruttiva tra quello che si ritiene indispensabile e quello che appare un “optional” a cui si può rinunciare. Attualmente le scuole in Europa sono aperte in Francia, Spagna, Svizzera, Austria, Croazia, Finlandia , Bielorussia, Ucraina, Moldavia, Romania; aperte nella maggioranza degli istituti in Gran Bretagna, Paesi Bassi, Polonia, Ungheria, Grecia, Albania: e l’Italia è la nazione che ha tenuto la scuola chiusa per più settimane (29) insieme alla Cechia, la Slovacchia e la Macedonia. Ed è ancora più preoccupante che niente si stia facendo non solo per riportare il più rapidamente in presenza piena gli studenti ma neanche per garantire che tutto ciò non si ripeta anche nel prossimo anno scolastico.

Di conseguenza lo sciopero e le manifestazioni hanno chiesto con forza innanzitutto la riapertura di tutte le scuole dal 7 aprile, con interventi urgenti per aumentarne la sicurezza (presìdi sanitari per i tamponi periodici a studenti, docenti ed Ata; vaccinazione per tutto il personale che fa richiesta), ma anche rapide iniziative per garantire la massima regolarità del prossimo anno scolastico, utilizzando almeno la gran parte dei 20 miliardi di euro previsti dal Recovery Plan per la scuola per ridurre a 20 il numero massimo di alunni per classe e a 15 in presenza di alunni diversamente abili; per intervenire nell’edilizia scolastica, aumentando significativamente il numero e la qualità delle aule disponibili; e conseguentemente, per garantire la continuità didattica e la sicurezza, aumentando il numero di docenti ed Ata, assumendo con concorsi per soli titoli i docenti con 3 anni scolastici di servizio e gli Ata con 24 mesi;

Ma lo sciopero e le manifestazioni di oggi hanno coinvolto anche il TPL (Trasporto pubblico locale), l’altro settore-chiave, insieme alla Sanità, per la miglior ripresa dell’attività sociale, produttiva e culturale e per la normalizzazione della vita quotidiana. L’interconnessione tra la messa in sicurezza della scuola, e dei luoghi di lavoro in genere, e quella dei bus e metro cittadini è ovviamente lampante: con pochissimi mezzi pubblici sovraffollati, con frequenza limitatissima, non solo la salute dei lavoratori del TPL è ad alto rischio, ma la diffusione del contagio si moltiplica: eppure da un anno nessun potenziamento del TPL è avvenuto in nessuna della città. Dunque, come COBAS abbiamo effettuato oggi anche lo sciopero del TPL, con risultati davvero incoraggianti e buona partecipazione alle manifestazioni insieme alla scuola, pur se costretti dalla Commissione di garanzia a ridurlo dall’intera giornata a quattro ore. Per tale settore abbiamo chiesto lo stop alle privatizzazioni e esternalizzazioni delle aziende, attivandone la ri-pubblicizzazione; la fine delle gare per l’affidamento del trasporto, passando all’affidamento diretto; l’assunzione di personale viaggiante e il rinnovo e aumento dei mezzi.

Piero Bernocchi   portavoce dei COBAS – Confederazione dei Comitati di base

26 marzo 2021