Meloni, da sovranista ad atlantista ma sempre fascistoide

C’è un detto assai popolare a Roma: Me credevo che pioveva ma no’ che diluviava. Che con Meloni presidente del Consiglio e l’ultradestra a dominare Parlamento e Paese sarebbe arrivata una “pioggia” fascistoide l’avevamo messo in conto. Scrivevamo prima delle elezioni: “Il trasformismo meloniano non riguarderà il nucleo del pensiero di un partito che del fascismo ha ereditato non certo l’obiettivo impossibile di un regime dittatoriale, ma qualcosa di praticabile qui ed ora…Nulla della cultura reazionaria novecentesca sarà abbandonato da Meloni, il culto della stirpe, della nazione intesa come insieme di etnia, religione unica, cultura compatta e omogenea. Meloni indica il nemico nella globalizzazione, nel multiculturalismo, nella mescolanza di etnie, religioni e stirpi. L’ideologia meloniana è condensata in questo suo proclama: ’Tutto ciò che ci identifica è sotto attacco, il senso del sacro, la famiglia, l’identità sessuale, la spiritualità, le radici cristiane, la libertà di impresa, i confini delle nostre nazioni, la nostra storia processata vigliaccamente dalla cancel culture, la nostra libertà di espressione, censurata ogni giorno sui media e sui social network, dalla dittatura del politicamente corretto’“. E a trionfo elettorale realizzato, prevedemmo una forte regressione sui diritti civili e delle donne in particolare; il peggioramento dell’accoglienza dei migranti; politiche ostili alle comunità LGBTQ+ e ai diritti dei detenuti/e e contro le manifestazioni di piazza conflittuali; recrudescenza delle ossessioni securitarie e delle norme giuridiche contro le opposizioni “radicali” e le lotte ambientaliste; e tentativi di modifiche costituzionali a partire dal presidenzialismo  e dall’Autonomia differenziata.

Però, forse neanche noi eravamo preparati al “diluvio” che si è abbattuto sul Paese. Si è partiti dall’assegnazione della presidenza delle due Camere ad un fascistone come La Russa, che ha rivendicato gli scontri “a mano armata” con i militanti di sinistra negli anni ’70; e ad un Fontana, sintesi delle visioni più retrive sui diritti civili e individuali. Poi, Meloni ha  ri-denominato vari ministeri, con una nomenclatura che era già dichiarazione di guerra. Il Mise è diventato “Imprese e made in Italy”, come se il lavoro fosse solo quello dell’imprenditoria; poi, il ministero Politiche del mare e Sud” tagliato per maltrattare ulteriormente i migranti, affidato ad un altro fascistone, l’ex governatore della Sicilia Nello Musumeci; il ministero delle Pari opportunità divenuto “Ministero della famiglia e della natalità”, per invitare le famiglie “tradizionali” a fare figli con reminiscenze mussoliniane e premi in denaro, in mano a Roccella che sostiene che “l’aborto non è un diritto“, contraria a qualsiasi unione fuori dalla  famiglia “tradizionale”. E l’Istruzione, che diviene “Istruzione e merito”?. Ma cosa sarebbe questo “merito”? E “merito” di chi? Ma la “grandinata” è andata oltre, abbattendosi su un terreno che appariva impraticabile come la riscrittura della storia non solo del MSI almirantiano e degli anni ’70, ma della intera parabola della Resistenza, con la ridicolizzazione di Via Rasella e delle Fosse Ardeatine, la denigrazione dei combattenti per la libertà e la equiparazione di essi ai repubblichini di Salò.

Però, l’effetto peggiore di questo “diluvio” ci appare la debole risposta popolare e generale, persino sul terreno dell’antifascismo. La protesta mass-mediatica e partitica è sembrata (da parte del PD in particolare) più un tentativo di lucrare consensi elettorali che di andare alle radici del fenomeno: ma soprattutto è la mobilitazione popolare che, finora, appare inadeguata. Basti ad esempio confrontare la debolezza delle manifestazioni del 25 aprile e del Primo maggio con le mobilitazioni che in tali date accompagnarono l’avvento del primo governo Berlusconi. Allora, le piazze si riempirono nelle principali città con centinaia di migliaia di persone furibonde (a Roma P. del Popolo stracolma di domenica con la protesta delle scuole). Ora, senza voler nulla recuperare dell’infausto berlusconismo, tra il liberismo cialtrone del Cavaliere e l’attuale valanga fascistoide passano vistose differenze, però inversamente proporzionali al rapporto tra la reazione popolare di ieri e quella di oggi. Un’analoga inadeguatezza nelle risposte si manifesta a proposito di un altro cavallo di battaglia meloniano, il culto del capo carismatico, risolutivo delle contraddizioni sociali e politiche: FdI ora rilancia il presidenzialismo e/o il premierato. L’ultradestra vuole usare i cinque anni di potere per raggiungere gli obiettivi che ha sempre ritenuto prioritari: ostilità al parlamentarismo, l’uomo della Provvidenza solo al comando, massima gerarchizzazione del potere. Quando Renzi lanciò il monocameralismo, ci fu un amplissimo fronte, dall’estrema destra alla sinistra radicale, che si oppose e che portò alla sconfitta referendaria. Oggi, di tale fronte non si vede traccia: nell’opposizione parlamentare il PD si ritrova con i fantasmi della Bicamerale dalemiana, Conte sembra gradire un luogo dove discuterne i dettagli e l’ex- Terzo Polo vuole essere della partita.

Anche sui mezzi di informazione la realtà sta andando oltre le più pessimistiche previsioni. Scrivevamo, sugli strumenti per l’imposizione della visione del mondo meloniana: “Si può immaginare quanto per l’affermazione di tale weltanschauung potrà contribuire la gestione per una intera legislatura della televisione di Stato, in aggiunta a quella privata, nonché la assai probabile conversione di buona parte della stampa mainstream.” Solo che, dopo la prevedibile occupazione di tutti i posti di potere alle partecipate statali, Meloni: a) alla RAI, in concorrenza con Salvini, non si sta “limitando” a piazzare ai posti di comando i fedelissimi/e ma sta eliminando pure conduttori (Fazio in primis) e opinionisti sgraditi; b) ha costretto la famiglia Berlusconi, con il ricatto del taglio della pubblicità, a consegnarle le chiavi anche di Mediaset; c) e ha preteso anche il giornale berlusconiano “di famiglia”, quel Il Giornale inserito nel pacchetto di quotidiani messole a disposizione da Angelucci. E, nonostante tutto ciò, i consensi di Meloni/FdI restano persino più elevati che nelle elezioni scorse, intorno al 30% in tutti i sondaggi. Per giunta, e qui bisogna purtroppo riconoscere la sua abilità manovriera, la leader di FdI sta evitando il pericolo maggiore per il suo governo: la prevedibile ostilità della geopolitica internazionale, e segnatamente degli USA e della UE, ad un governo di ultradestra, punto di riferimento della politica reazionaria mondiale, da Le Pen a Vox, dall’AFL ad Orban fino alla destra estrema statunitense e nordeuropea. Con una sbalorditiva svolta a 180 gradi, Meloni ha scaricato in un colpo solo Putin, Trump, gli anti-euro, Orban, i fascistoidi spagnoli e tedeschi, riuscendo a presentarsi  come europeista e super-atlantista, beniamina  del governo USA, nonchè miglior alleata dell’Ucraina nell’impegno bellico. In questa nuova veste, ha potuto lasciare impressioni positive, secondo tanti commentatori, dagli USA alla Cina, dall’India agli Emirati del Golfo, dalla Gran Bretagna all’Est europeo anti-russo (fa eccezione il conflitto con Macron, ma il motivo è circoscritto: Meloni, dimostrando che l’ultradestra può governare un grande paese europeo, è una apripista per Le Pen, terrore macroniano) stringendo un buon rapporto con molte leadership internazionali che le garantiscono la copertura da possibili “scherzi” dei mercati finanziari.

E infine, la gestione dell’economia, del lavoro, dell’ambiente, della scuola. Anche qui la ”pioggia” si è rivelata peggiore del previsto. Si era detto che Meloni avrebbe proseguito sulla strada di Draghi. Ma quest’ultimo almeno non aveva eliminato il reddito di cittadinanza e neanche sfidato tutto il mondo del lavoro dipendente organizzato come sta facendo Meloni, spacciando per la più “grande riduzione delle tasse sul lavoro” un parziale “sconto” che si esaurirà a dicembre, e aumentando ulteriormente i contratti precari, mentre naufraga nella cialtroneria l’uso del PNRR (su cui rimandiamo all’articolo di Miliucci) , con l’annessa follia energetica (cfr. sempre l’articolo di Miliucci e quello di Palmi) dell’”hub mediterraneo del gas” e del recupero del fossile e del nucleare.  E in quanto alla scuola, oltre alle sparate fascistoidi di Valditara, e all’insieme di rinnovate aggressioni aziendalistiche (dal tutor all’Orientamento, dall’esaltazione dell’Alternanza scuola-lavoro all’ulteriore ri-dimensionamento degli istituti) di cui parliamo diffusamente in questo numero, stavolta il governo è intenzionato a portare a compimento quell’Autonomia regionalistica, che disgregherebbe l’istituzione-scuola ingigantendo la debolezza delle regioni già penalizzate.

Resta la domanda cruciale: come mai in Italia non si vede una reazione non diciamo paragonabile a quanto accaduto in Francia, Germania e Gran Bretagna, ma almeno appena all’altezza della sfida? Al punto da far dire a tanti opinionisti che gli unici ostacoli al governo possano venire solo dal suo interno? Di risposte se ne sentono tante: il fatto che alla maggioranza degli italiani non interessa la contesa sul fascismo o sulla Resistenza ma tenere lontani i migranti (anche se poi, da quando Meloni è al governo, gli sbarchi sono triplicati); il dato oggettivo che il PIL è aumentato in due anni dell’11%, più che a livello mondiale e nei principali paesi europei e, insieme al boom delle esportazioni e del  turismo, sta premiando parti ampie della società, tant’è che il “tesoro” accumulato in beni immobili, finanziari e bancari, già notevole (oltre 10 mila miliardi di euro), è ulteriormente aumentato del 4% nell’ultimo anno, premiando una significativa fetta della società; e poi, certo, l’inconsistenza delle opposizioni, a partire dal PD, che ha messo in campo una leader-novità che però ritiene di cavarsela con trovate massmediatiche senza neanche uno straccio di proposta organica alternativa al governo..

Comunque sia, nel nostro campo dobbiamo purtroppo riconoscere che la bufera fascistoide non ha affatto spinto a stringere le coalizioni del sindacalismo di base; anzi, ha incentivato la ripresa della corsa suicida a convocazioni sempre più velleitarie di sedicenti scioperi “generali” in gara tra loro, riaprendo divisioni nel campo sindacalbasista. Ciò malgrado, come COBAS, faremo quel che dobbiamo. Innanzitutto, nella difesa diretta dei lavoratori/trici nei conflitti quotidiani, senza di che non c‘è progetto sindacal-politico che tenga: se non ci si difende sul posto di lavoro, ove si passa gran parte della propria vita attiva, il resto è pura velleità; e in tal senso è confortante la crescita del numero dei nostri iscritti/e. soprattutto nella scuola e nel Lavoro privato, anche in questo triennio “pandemico”. Ma nel contempo non abbiamo rinunciato a fare coalizione. Ed è in particolare importante la ripresa del percorso di alleanza con Centri e forze sociali e movimenti per l’Abitare, che  promosse nell’autunno 2014 una delle più importanti mobilitazioni dell’ultimo decennio, quello “sciopero sociale” che produsse più di 60 manifestazioni cittadine con almeno 300 mila manifestanti  e circa un milione di scioperanti. Con una coalizione analoga stiamo organizzando per il 27 maggio una promettente manifestazione nazionale contro la cancellazione del reddito di cittadinanza, per il diritto alla casa e il blocco degli sfratti, il salario minimo, il reddito universale, lo stop ai salari bassi e ai contratti precari: manifestazione che vuole essere non un punto di arrivo ma un possibile “start” per la costruzione di una ampia coalizione sociale in grado di potenziare l’attuale insufficiente risposta al dilagare dell’ultra-destra.

Piero Bernocchi