Il 18 giugno scorso abbiamo diffuso una prima dichiarazione ufficiale nei confronti del governo Lega-5 Stelle. Scrivevamo tra l’altro: “E’ la Lega la forza dominante di un governo che, in sintonia con l’ultra-destra di Le Pen, Orban, dei governi polacchi ed austriaci, dovrà eseguire un programma che propone in tutta Europa chiusure nazionalistiche, sovranismo velleitario, xenofobia, sessismo, omofobia, disprezzo della cultura e della conoscenza competente, culto delle armi e della sottomissione del debole e del ‘diverso’…Le speranze di coloro che, per avversione (giustificata) verso il PD, avevano preso sul serio le promesse dei 5 Stelle, sono state travolte. I leghisti di Salvini, usando spietatamente il tema dell’immigrazione, stanno ‘divorando’ i 5Stelle, che si presupponevano “nè di destra nè di sinistra, né antifascisti perché il fascismo è morto e sepolto” e che, pur con il doppio di eletti/e, hanno sottoscritto la piattaforma anti-immigrati di Salvini'”.  Scrivemmo questo pur sapendo che anche tra i nostri/e iscritti/e nel recente passato erano diffuse speranze sul possibile ruolo positivo dei 5Stelle al governo. Ma il carattere dominante dell’ideologia leghista è risultato evidente al punto da non poter offrire a questo governo una “indulgenza” che non merita e che non abbiamo riservato a nessuno dei governi precedenti, neanche quando – ad esempio con i due governi Prodi – la presenza nella compagine governativa del PRC aveva seminato analoghe speranze anche tra parecchi dei nostri/e militanti. Cosicché l’Assemblea Nazionale Scuola di metà luglio ha confermato le posizioni già prese, articolandole alla luce dei successivi passi governativi. E’ risultata corretta la valutazione secondo la quale le principali promesse sociali ed economiche, avanzate in campagna elettorale dalla Lega e dai 5 Stelle, sarebbero rimaste tali. Le abolizioni della legge Fornero, del Jobs Act e della cosiddetta “buona scuola” stanno svanendo nel nulla, mentre il “reddito di cittadinanza”, che tante attese aveva suscitato in vasti settori popolari, è rinviato a data remota. Il “decreto dignità”, annunciato come la panacea contro il precariato, si è guardato bene dal reintrodurre l’art.18 che difendeva dai licenziamenti arbitrari; e le piccole restrizioni ai contratti a termini, in assenza di incentivi per le assunzioni stabili, è più facile che provochino licenziamenti anticipati piuttosto che stabilità per i precari. E in quanto alla “buona scuola”, qualcuno/a può seriamente credere che Bussetti, dirigente dell’USP di Milano e dell’Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia e già  preside “distaccato” possa buttare per aria i poteri dei capi di istituto, i bonus, l’Alternanza scuola-lavoro e i quiz Invalsi? In realtà, l’unico provvedimento preso è la sospensione della “chiamata diretta” dei docenti, un potere che la stragrande maggioranza dei presidi non gradisce, perchè provocherebbe loro solo grane, denunce, ricorsi; nonché il rinvio dell’introduzione dell’Alternanza scuola-lavoro e dell’Invalsi nell’esame di maturità, senza che ci sia alcuna intenzione, però, di smontare le due catastrofiche attività, mentre sono brutalmente svanite tutte le promesse di rendere giustizia alle maestre diplomate magistrali.

Risulta dunque evidente perché la vera carta a disposizione di questo governo, oltre all’ inconsistenza – che raggiunge il grottesco e il masochismo suicida tra le fila del PD – delle opposizioni parlamentari, sia quella dell’immigrazione e dell’odio manifesto verso gli ultimi della terra, che cercano in Europa un po’ di pace, lavoro e giustizia sociale. Certo, il razzismo e la xenofobia non nascono, a livello popolare, con questo governo. Fin dall’inizio della grande crisi economica in Europa e negli Stati Uniti del 2007-2008, abbiamo denunciato il terrificante impatto di quella che abbiamo chiamato “la guerra dei penultimi contro gli ultimi“, e cioè l’ostilità che vasti settori salariati e popolari, operai  e “middle class” impoverita hanno manifestato non contro le classi e i ceti più potenti e ricchi ma verso gli ultimi arrivati, temendone il “sorpasso sociale”, malgrado l’Italia abbia una presenza percentuale di migranti decisamente più bassa di paesi come Francia, Belgio, Germania o l’Inghilterra (anche se la  maggioranza degli italiani pensa che gli immigrati/e siano circa il 25% della popolazione, mentre superano di poco il 7%). La xenofobia e il razzismo sono cresciuti ulteriormente negli ultimi due anni nonostante la politica spietata del ministro Minniti abbia ridotto gli sbarchi dell’80-85%. Pur tuttavia, Salvini, seguito supinamente dai 5 Stelle, ha aggiunto, rispetto ai precedenti governi, un odio aperto, sfacciato, fiero di sé, e ribadito ufficialmente ogni giorno, nei confronti di neri, rom e “illegali” che ha sdoganato tutte le pulsioni reazionarie già operanti in tanta parte della popolazione: al punto che a tutti gli episodi di brutale razzismo di quest’estate hanno fatto seguito immancabilmente le giustificazioni e le minimizzazioni del ministro degli Interni e del governo nel suo insieme.

Ma l’aspetto reazionario del governo Salvini-Di Maio non riguarda solo la politica sull’immigrazione. C’è la legge “per la legittima difesa”, che introduce la pena di morte, autorizzando i “benpensanti” a sparare su chi si introduce nelle case altrui; c’è la flat tax, che ridurrebbe sensibilmente le poche tasse che la maggioranza delle classi e dei ceti più ricchi paga; c’è l’annullamento di una riforma della giustizia in senso più democratico e il trionfo del giustizialismo forcaiolo alla Davigo per il quale “non esistono gli innocenti, sono solo colpevoli non ancora smascherati“, con l’introduzione di “agenti provocatori di Stato”, premi ai delatori; c’è l’omofobia del ministro Fontana per il quale le diversità di orientamenti sessuali vanno cancellate; c’è infine il disprezzo manifesto per il bilanciamento dei poteri istituzionali e la pretesa della Lega  di essere al di sopra della legge, avendo il consenso “sondaggistico” della maggioranza degli italiani. Resta il punto interrogativo che arrovella anche nostri iscritti/e che hanno votato per i 5 Stelle e che si domandano come mai il nazionalismo d’accatto e il razzismo xenofobo non siano in netta contraddizione con il programma dei Cinque Stelle. Certamente conta la consapevolezza che tornare alle elezioni sarebbe assai negativo per i 5 Stelle, raddoppiando molto probabilmente i voti della Lega. Ma il ruolo di “traghettatori” dei 5 Stelle verso la piena legittimazione della Lega è stato possibile perché in realtà tra la maggior parte degli elettori/trici delle due organizzazioni non c’è quel contrasto che molti/e credevano. Le “basi” si intersecano, gli umori sono simili: e la riprova la si ha dal fatto che i 5 Stelle hanno pagato nei sondaggi ben poco per questa alleanza (una perdita di 3 o 4 punti) e da una verifica su tutti i social della diffusa identità di vedute tra i simpatizzanti delle due parti. Il ché non lascia molto spazio alle speranze di soprassalti “di sinistra” nella gestione, giuridicamente e di fatto completamente nelle mani di Casaleggio (soprattutto) e di Grillo, dei 5 Stelle;  o di lacerazione a breve dell’alleanza di governo che si rafforza grazie anche ad un’occupazione “castale” e a 360 gradi dei poteri che non ha nulla da invidiare a quella dei governi precedenti.

Queste considerazioni sono state ribadite a larga maggioranza negli EN della Scuola e della Confederazione dell’8/9 settembre, ove si è ragionato soprattutto sul ruolo che i COBAS dovrebbero assumere in una fase così complessa e difficile, laddove il consenso al governo è certamente maggioritario ma esiste una consistente minoranza (intorno al 30%, si è detto)  di cittadini/e indignati soprattutto per l’ideologia e la cultura reazionarie che la Lega diffonde a piene mani: minoranza che non trova alcun valido riferimento politico generale, essendo il PD totalmente screditato ed impegnato a dimostrare la validità, anche tra i politici, dell’esperimento di Skinner con i topolini (Skinner,  psicologo comportamentista statunitense, dimostrò che tra i topolini, costretti a convivere in gabbie sempre più piccole, aumentavano esponenzialmente l’aggressività e la voglia di distruzione reciproca) e non vedendosi all’orizzonte alcuna forza politica alternativa, dotata di forza e dimensioni accettabili, che si batta contro il liberismo e la xenofobia e per la giustizia sociale, economica e civile. E’ pur vero – si è detto –  che a livello sociale esistono, sia sul piano nazionale che locale, una vasta gamma di movimenti, di reti, di organizzazioni, di sindacati di base e di comitati e associazioni che in questi anni si sono battuti per i Beni comuni, la difesa ambientale, il lavoro stabile e adeguatamente retribuito e contro le politiche economiche e sociali degli ultimi governi di centrosinistra e di centrodestra e che sono già impegnati a proseguire tali lotte nei confronti del nuovo governo. Pur tuttavia, tra questi movimenti, reti ed organizzazioni, non si è mai riusciti a costituire alleanze durature, in grado di collegare obiettivi e tematiche e di costituire un’alternativa credibile anche sul piano politico generale, magari anche con proiezioni istituzionali. Mentre in altri paesi – dove pure la conflittualità tra le forze alternative era stata elevata per decenni (si pensi alla Grecia, alla Spagna, al Portogallo, alla Francia o a tanti paesi dell’America Latina “progressista”) –  si è alfine riusciti a dare vita a stabili coalizioni che hanno occupato un importante spazio politico e istituzionale, in Italia nessuna alleanza politico-sociale-sindacale antiliberista e di base è riuscita a durare, ad ottenere risultati rilevanti, a consolidarli e ad avere un ruolo significativo anche nelle istituzioni nazionali e locali.

Come COBAS, in questi 31 anni di vita, abbiamo tentato a più riprese di avviare e rafforzare coalizioni e alleanze del genere, sia a livello sindacale sia su un piano politico generale. Nella scuola, lo abbiamo fatto ripetutamente e grazie alla correttezza che abbiamo sempre praticato in tali alleanze, qualche risultato positivo lo abbiamo raggiunto, almeno nel rallentamento del cammino della scuola-azienda e dell’istruzione-merce. Ma a livello generale i tentativi non hanno dato frutti significativi, se non nel periodo fecondo – il punto più alto, in questo secolo, di un grande movimento di massa variegato e polivalente – del movimento “no global” (2000-2004): un movimento e una coalizione sciaguratamente distrutti, però, dal suicida coinvolgimento di varie forze ad esso interne (in primo luogo il PRC) nel percorso che portò al secondo governo Prodi. Negli anni successivi abbiamo riprovato altri tentativo di costruzione di alleanze stabili. Lo abbiamo fatto sul piano politico tra il 2006 e il 2008 contro il secondo governo Prodi e quasi contemporaneamente (2007-2008) sul  terreno sindacale con il Patto di Base tra le principali organizzazioni del “sindacalismo di base”, e poi, a partire dal Decennale (2011) dell’anti-G8 di Genova, verso una coalizione altrettanto ampia di quella del movimento no-global, e sempre con buoni risultati all’inizio: ma poi le smodate velleità egemoniche di alcuni sul piano sindacale e la brutale concorrenza “gruppettara”, in una sorta di “guerra tra minoranze del ghetto”, che il 15 ottobre distrusse una gigantesca manifestazione di centinaia di migliaia di persone bruciarono irrimediabilmente anche quei generosi tentativi. Dopodiché, abbiamo fatto un ultimo tentativo nel 2014 con la coalizione dello “sciopero sociale”, alleanza tra i COBAS e altri “sindacati di base” e una vasta area di centri sociali e del precariato giovanile: tentativo però anch’esso di breve durata per le conflittualità interne in queste aree. E da allora abbiamo rinunciato a praticare la via delle alleanze politiche, limitandoci a ricercare un’unità d’azione sul piano sindacale, pur agendo in vari movimenti a carattere tematico e territoriale.

In generale, si può dire che esiste una ragione fondamentale che spiega l’insuccesso di questi tentativi. Ed è l’incapacità/non volontà di accettare le modalità che possono consentire la durata di un’alleanza sociale e politica. Noi tali modalità abbiamo cercato di praticarle fin dalla nascita dei COBAS ma l’abbiamo introiettata davvero a fondo  – e cercato di applicarla nelle alleanze che proponevamo in Italia – sulla base delle “lezioni” apprese nei Forum Sociali Mondiali e in quelli Europei del movimento altermondialista, a cui abbiamo sempre partecipato, dando un significativo contributo fin dalla prima edizione di Porto Alegre 2001. E quelle che seguono sono a nostro avviso le “lezioni” che continuano a trovare difficoltà ad essere applicate e sperimentate in Italia.

1) Nel conflitto con un capitalismo dalle mille facce è impensabile una “reductio ad unum” della opposizione sociale e politica.Non ci sono più (anzi, a ben vedere non ci sono mai state nei fatti, al di là delle ideologie) classi o ceti-guida che possano imporre subordinazione per tutti gli altri settori sociali “senza potere e senza proprietà”; o partiti piglia-tutto nei cui confronti la schiera dei possibili alleati rappresenti, come nel modello del PCI togliattiano, “utili idioti” da usare finché sottoscrivono la volontà del partito-padrone. 2) La costituzione di una coalizione, che usi magari una sigla riconoscibile, non implica affatto la sparizione delle sigle, delle bandiere, delle identità delle forze componenti la coalizione. Anzi: la massima valorizzazione delle rispettive piattaforme e identità è il modo migliore per arricchire la coalizione. Chi dice: “togliete tutte le bandiere” (e le identità), in genere vuole imporre una nuova bandiera (la propria) e una identità dominante (la propria). 3) Costituire una coalizione non significa imporre unanimità permanente e assoluta compattezza decisionale. Si può stare insieme su tante cose importanti ma trovarsi in disaccordo su alcune scelte. In questi casi, la soluzione migliore è non fare uso della sigla comune ma firmare le iniziative con le componenti della coalizione che sono d’accordo, senza rompere con gli altri e senza dover essere sottoposti a boicottaggio da chi non condivide l’iniziativa. Ci si separa in quell’occasione, ma poi si riparte insieme. 4) Si può affermare all’interno di un’alleanza una leadership di “volti” più popolari di altri, ma va escluso che una coalizione possa esprimersi con una sola faccia e una sola voce in permanenza. Sta alle leadership in formazione saper esprimersi in alcune occasioni con una sola voce e in altre con una pluralità non cacofonica. 5) Se si rispettano le precedenti quattro regole, non si decide con maggioranze del 51% ma lo si fa solo con larghissimo consenso: in caso contrario, ci si muove con autonomia per poi tornare all’unità passato il contrasto.

Abbiamo cercato di applicare in questi anni tali criteri di convivenza, all’interno e all’esterno, che, almeno nelle strutture COBAS, ci hanno consentito di evitare rotture traumatiche o conflitti esasperati, facendo di noi l’unica organizzazione italiana (e forse internazionale) di una qualche dimensione rilevante che in 31 anni non abbia mai espulso nessuno/a. Alcuni esempi chiariranno meglio come abbiamo applicato i suddetti criteri,  confrontando le nostre modalità confederali con quelle della Confederazione sindacale italiana più potente e numerosa e cioè la CGIL.

a) Nella CGIL la segreteria nazionale confederale ha potere supremo sulle Federazioni e i gruppi dirigenti sono totalmente separati, mentre da noi l’Esecutivo Nazionale confederale è la sintesi degli EN di Federazione e il portavoce confederale è il portavoce della Federazione più consistente (nel nostro caso la Scuola). Se la segreteria confederale decide una cosa, quella è legge per tutta la CGIL, se decide uno sciopero generale, ad esempio, quello è impegnativo per tutte le Federazioni e nessuno può sottrarsi. Viceversa una Federazione non può scioperare contro la volontà confederale. Nei COBAS succede l’opposto. Ogni Federazione è sovrana, e se non c’è accordo, ad esempio su uno sciopero nazionale, non si può usare la sigla confederale ma solo le sigle di Federazione che condividono lo sciopero. Di contro, se una Federazione vuole scioperare anche da sola, non ci possono essere veti da parte della Confederazione. Anche all’interno di certe Federazioni, se una categoria vuole scioperare (o no) ha libertà di scelta, senza interventi ostativi da parte degli Esecutivi di Federazione o confederali. Dunque, da una parte un modello verticistico e gerarchico, dall’altro un modello “di base”, largamente democratico e che valorizza le autonomie di scelta.

b) Lo stesso criterio democratico e “autonomista” vale a livello locale. Noi manteniamo una struttura di base provinciale ma possiamo anche usare il livello regionale solo se tutte le strutture provinciali sono d’accordo su una scelta: altrimenti si usano le sigle provinciali che condividono la scelta. Nella CGIl si procede invece a maggioranza o con imposizione del centro nazionale, che nel nostro caso invece non interviene affatto in scelte locali.

c) A livello provinciale si procede nei COBAS allo stesso modo. Si usa la sigla confederale solo se le strutture provinciali delle singole Federazioni operanti nella provincia sono d’accordo su una decisione. Altrimenti, si usano le sigle delle Federazioni che sostengono la decisione: nelle strutture gerarchiche confederali è il vertice confederale provinciale o regionale a decidere per tutti.

Ebbene, noi pensiamo che se i cinque criteri sopra citati si applicassero, con elasticità, alle possibili coalizioni verrebbero meno, assai probabilmente, gran parte dei motivi di conflitto, le necessità di votare a stretta maggioranza, le gare per l’egemonia e la supremazia. Certo, sappiamo bene che il metodo non è tutto e che i contenuti su cui si costruiscono le alleanze sono fondamentali. Però l’esperienza ci insegna che tutti i tentativi di coalizione sono naufragati quasi sempre sul metodo, ossia sulle “regole del gioco” e molto meno sui contenuti. Su questi ultimi le mediazioni si sono assai spesso trovate, anche perché in un’alleanza non è necessario essere d’accordo su tutto. Ma sulle “regole del gioco” non si può scherzare, né tirare a fregare i partner. Dunque, tenendo conto della gravissima situazione politica e sociale determinata da questo governo, e alla luce delle suddette considerazioni sui criteri da applicare nelle coalizioni, intendiamo riprendere  i tentativi di costituire una ampia Alleanza sociale, politica e sindacale che sappia riformulare metodi e regole del gioco come si è riusciti a fare in altri paesi, anche a noi molto vicini. Con due convinzioni supplementari: 1) Una coalizione che attacchi su tutti i punti del conflitto sociale, alla luce di un antiliberismo e anticapitalismo liberi dalle scorie del comunismo staliniano e del cosiddetto “socialismo reale”, oggi non può essere solo antagonista al governo ma anche ad un PD che ha aperto la strada ai Salvini e ai Di Maio e ha fatto retrocedere di decenni le conquiste dei movimenti sociali. Oggi non si pongono proprio le condizioni del frontismo antiberlusconiano che consentirono al PD e ai suoi predecessori (PDS, DS) di usare anche una parte significativa della “sinistra radicale” per progetti neoliberisti altrettanto dannosi del berlusconismo. 2) Una parte non irrilevante delle coalizioni tentate in questi ultimi anni sono naufragate su un elettoralismo  velleitario. L’esigenza di essere presenti nelle istituzioni è comprensibile, viste le estreme difficoltà di dialogo che in questi anni abbiamo avuto nei confronti delle rappresentanze istituzionali. D’altra parte che i nostri iscritti/e ma anche i nostri militanti e persino i membri dei nostri EN nazionali e attivisti di lungo corso non siano indifferenti a tali rappresentanze, lo dimostra il fatto che in questi anni la stragrande maggioranza di essi/e è andata ripetutamente a votare per questo o quel partito, dimostrando di essere convinti che non tutti sono egualmente repellenti. Senza contare che a livello locale si sono ripetuti i casi di una nostra partecipazione, non “autorizzata” centralmente, a processi elettorali territoriali, mentre nel contempo anche varie aree “antagoniste” sono entrate in ballo a livello comunale, provinciale o regionale, appoggiando liste civiche o inserendo militanti anche in liste di partito. Dunque, si può anche mettere in conto che una coalizione che abbia trovato una sua modalità di vita comune e di operatività sociale e politica riconosciuta, si cimenti nell’agone istituzionale. Ma non va dimenticato che il terreno elettorale è il più scivoloso possibile e dunque non si può improvvisare con coalizioni inventate a ridosso di elezioni e mai provate sul terreno sociale del lavoro comune sui territori e a livello di massa.

In conclusione, proponiamo a tutta l’organizzazione che, mentre siamo impegnati sul piano sindacale a rafforzare significativamente la nostra presenza territoriale e il  consenso nei nostri riguardi tra i lavoratori/trici, si faccia il possibile, a livello locale e livello nazionale, per favorire la costituzione di alleanze e coalizioni contro l’insieme delle politiche governative ma anche contro ogni tentativo di riciclaggio di quel PD che tanti danni ha inferto a milioni di italiani/e e al Paese tutto. E come primo atto di questo tentativo vorremmo che ci impegnassimo tutti/e a far maturare la necessità di una grande manifestazione popolare di centinaia di migliaia di persone contro le politiche governative, liberismo, razzismo e xenofobia, precariato, omofobia e giustizialismo forcaiolo, contro le Grandi opere inutili o dannose, in difesa dei Beni comuni, del lavoro stabile e ben retribuito, delle pensioni, per la libertà di circolazione di tutti/e, per una scuola, una sanità e servizi pubblici non mercificati, per un’Europa totalmente diversa da quella imposta dai vertici UE. Sappiamo bene che sono in preparazione (e vi partecipiamo attivamente) molte manifestazioni su specifici temi, tutte utili e da sostenere. Ma vorremmo che non passasse la convinzione dell’autosufficienza o ancor meno di una “gara” a chi farà la manifestazione nazionale più significativa, ma che si convergesse  in un comune sforzo per arrivare ad una manifestazione comune nazionale che esprima l’insieme degli obiettivi e delle volontà di opposizione di milioni di persone, portandone entro l’autunno parecchie centinaia di migliaia in piazza e cercando di essere motorino di avviamento di una grande Alleanza popolare, sociale, politica, sindacale, culturale.

Esecutivo Nazionale COBAS – Comitati di base della Scuola

Piero Bernocchi    portavoce nazionale COBAS

27 settembre 2018