Lo sciopero del 15 novembre è stato caratterizzato dal tentativo (non riuscito) di mettere insieme le due anime (quella moderata e quella radicale) dello schieramento anti-morattiano. Ne abbiamo parlato con Piero Bernocchi, portavoce nazionale dei Cobas.

Domanda: Nel comunicato con cui commentate l’esito dello sciopero sembrate interessati più a polemizzare con i confederali che a  sottolineare il successo complessivo della protesta.
Risposta:
  Non, non è così. Siamo stati quelli che hanno enfatizzato di più la riuscita e il significato dello sciopero e delle manifestazioni: e lo testimoniano tutte le dichiarazioni apparse sui giornali e le interviste trasmesse da tutte le TV pubbliche e private, oltre che, ovviamente, il comunicato a cui fate riferimento.

D. Sta di fatto che i cortei sono stati due.
R. 
Le responsabilità per il mancato corteo unitario non possono essere addebitate genericamente “ai sindacati” visto che i Cobas hanno fatto tutto il possibile e il necessario per avere sia lo sciopero sia la manifestazione unitaria, richiedendo come unica condizione la gestione comune del palco conclusivo e un intervento dallo stesso

D.  Recentemente Enrico Panini ha dichiarato di voler sostenere la mozione Mussi-Berlinguer nel dibattito interno ai DS, mozione che parla espressamente di abrogazione della legge 53: ciononostante non siete riusciti a trovare un accordo per la manifestazione nazionale. Perchè? 

R. Non è che non siamo riusciti: più semplicemente, e brutalmente, Cgil-Cisl-Uil non hanno voluto riconoscere ai Cobas la “pari dignità” e organizzare insieme a noi il corteo, nè darci la parola dal palco di Piazza Navona. Credo che sia dipeso essenzialmente da due motivi: a) i confederali non vogliono prendere atto che i Cobas esistono ed hanno una notevole influenza in alcuni settori; la loro tattica (che, nell’immaginario collettivo, si definisce solitamente “dello struzzo”) si basa sulla convinzione che, ignorando il problema (cioè, la nostra presenza e il nostro ruolo, che va ben al di là del nostro peso organizzativo), il problema sparirà prima o poi; b) la Cgil è soprattutto impegnata nell’unità sindacale con Cisl e Uil, che non si battono specificatamente nè per l’abrogazione delle leggi Moratti nè per una contestazione globale di tali leggi e decreti, ma cercano piuttosto di modificare la “riforma”, di contrastare alcuni punti ma rassegnandosi ad accettare e contrattare il quadro complessivo. Dunque, la Cgil non vuole mettere in crisi l’unità confederale, “aprendo”, davvero e pienamente, a noi e a quelli che hanno posizioni radicali sul tema.

D.  La riforma che voi avete in mente (aumento degli organici, innalzamento dell’obbligo scolastico, stipendi europei) avrebbe bisogno di un aumento della spesa per l’istruzione di parecchi punti percentuali. Non pensate che ci sia anche un problema di compatibilità finanziaria? 
R.
 No, c’è un problema di priorità. Dal governo Amato in poi, l’impegno finanziario nella scuola è andato continuamente calando in termini percentuali. Sono stati tagliati posti di lavoro, scuole, classi, indipendentemente dal “colore” del governo. Solo ora, con la discesa in campo di un forte movimento a favore della scuola pubblica, è aumentata l’attenzione sul problema: ma, finchè hanno potuto, quasi tutti i partiti di centrodestra o centrosinistra hanno trattato la scuola pubblica come un “cane morto”.
 
Comunque, se si vuole davvero una scuola pubblica di qualità, se si vogliono impedire le distruttive prospettive della scuola-azienda, della privatizzazione e della mercificazione dell’istruzione, bisogna spendere molto di più e bene.